Dopo il numero di Lapilli curato dai nostri colleghi di Egab, la newsletter di questo mese torna a essere scritta da una prospettiva molto italiana. Vorremmo però chiederti un parere. Ci piacerebbe far diventare Lapilli e Lapilli+ delle piattaforme che raccontino il Mediterraneo e le sue criticità - ma anche i punti di forza - da prospettive diverse. In questo senso, stiamo cercando finanziamenti per ospitare ogni mese nelle nostre newsletter il contributo di giornalisti che si occupano di ambiente da vari angoli del Mediterraneo. Ma prima di intraprendere questa strada siamo ovviamente curiosi di conoscere il parere di chi ci riceve. Per questo vorremmo chiederti di rispondere a un breve sondaggio. Ti anticipiamo inoltre che anche la prossima edizione di Lapilli+ sarà a cura di Egab (flagga Lapilli+ per riceverla e passa a Lapilli premium per leggerla integralmente). Arriverà dall’Egitto e parlerà di alberi. Visto il periodo estivo, uscirà martedì 20 anziché venerdì 16 agosto.
Infine, una bella notizia! Abbiamo ricevuto un finanziamento da Journalismfund Europe per un altro esperimento: la prima edizione della Scuola magmatica di giornalismo ambientale. Troverai maggiori informazioni qui sotto o sul nostro sito. Ma come sempre, anche in questi Lapilli lo sguardo è diretto per lo più agli spunti che abbiamo captato provenire dai vari angoli del nostro mare. Buona lettura.
Mare caldo. Ci siamo lasciati il mese scorso con un Mediterraneo orientale e meridionale rovente. A giugno la Grecia ha vissuto quella che è stata definita come l’ondata di calore più precoce che il paese ellenico abbia mai registrato (The Guardian) e il caldo estremo ha fatto saltare l'elettricità in svariati paesi dei Balcani per l’eccessivo ricorso all’aria condizionata (Associated Press). Se le aree meridionali e orientali dell'Europa e del Mediterraneo sono state avvolte da una cupola di calore, con aria molto calda e stanziale, condizioni più fresche e mutevoli hanno dominato la fascia di Europa più vicina all’Atlantico (Euronews). Anche per questo, nel sud della Francia e sulle Alpi, dove queste due masse d'aria si incontrano, a fine giugno si sono verificati episodi di pioggia intensa e temporali con grandine e venti forti (Geopop; Agence France-Presse).
Luglio ha poi visto una lunga ondata di calore interessare diversi paesi europei tra cui Spagna, Italia, Grecia e Balcani con temperature vicine o superiori ai 40 gradi. Il picco è avvenuto tra il 17 e il 19 luglio. Ma a essere incoronato come il giorno più caldo a livello globale da quando si hanno dati è stato il 22 (The Washington Post). In Marocco, proprio a ridosso del 22, le temperature hanno raggiunto i 48 gradi in alcune aree; e il caldo avrebbe ucciso almeno 21 persone, tra malati e anziani, nella città di Béni Mellal (Agence France-Presse).
Persino la superficie del mare ha registrato valori insoliti per il periodo, con anomalie di 4 o 5 gradi sopra la media, come quella rilevata il 16 luglio a Dubrovnik, in Croazia, dove una boa ha segnato 29,7 gradi (IconaClima). Anche a Malta e in altri punti del Mediterraneo centrale le temperature superficiali dell’acqua hanno raggiunto quasi 30 gradi, valori che solitamente si verificano più tardi nel corso dell'anno (Malta Today). A risentirne maggiormente sono spesso le zone lagunari, come quella di Orbetello, dove si è verificata un’importante moria di pesci (Open).
Incendi boschivi hanno poi interessato soprattutto la Macedonia del Nord, dove il governo ha dichiarato 30 giorni di stato di emergenza. La situazione più difficile è quella sul monte Serta, a 85 chilometri circa dal confine greco, dove un rogo si è esteso ai comuni adiacenti di Stip e Negotino (Balkan Insight). In Italia, invece, le aree più colpite sono soprattutto Sicilia e Sardegna (Wired).
Secondo l’analisi di ClimaMeter, in Europa il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha reso gli eventi di caldo estremo come quello di metà luglio fino a 3 gradi più caldi. E, visto che l’estate nei paesi europei e mediterranei coincide con visitatori e vacanze, introduciamo un tema che tornerà più volte in questa newsletter e ha a che fare col turismo. Un interessante studio realizzato da un gruppo di ricercatori italiani si è infatti concentrato sulle vulnerabilità delle destinazioni turistiche europee agli eventi meteorologici estremi - inondazioni, stress termici e tempeste di vento. I ricercatori hanno mappato oltre 110mila attrazioni in tutta Europa e confrontato questi siti turistici (ristoranti, hotel e musei etc.) con i dati relativi ai rischi meteorologici estremi. Tra i luoghi più a rischio sono emerse le grandi città e le zone costiere, non senza conseguenze per l’economia (Hakai Magazine).
L’estate afosa e senza corrente degli egiziani. Ne abbiamo già ampiamente parlato il mese scorso, ma l'Egitto, oltre ad affrontare temperature che da maggio raramente scendono sotto i 37 gradi, ha trascorso un altro mese in buona parte scandito da interruzioni di corrente. Un recente articolo del New York Times racconta la vita nel paese nordafricano tra afa e periodi senza elettricità che, a fronte di un calo nella produzione interna di gas, vanno ormai avanti da più di un anno. Il governo ha annunciato di voler sospendere questi blackout fino al 21 settembre, ricorrendo a gas importato. Ma secondo quanto riportato dal New York Times, intorno a metà luglio sui social media continuavano ad arrivare segnalazioni di persone senza corrente. Il paese, che fino a maggio scorso il gas naturale lo esportava, prevede ora di spendere circa 1,18 miliardi di dollari (circa 1,1 miliardi di euro) per importare energia, oltre a cercare di aumentare la produzione da fonti rinnovabili, nell’ottica di fermare le interruzioni entro la fine dell'anno.
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La lunga scia della guerra a Gaza. Un recente rapporto del programma ambientale delle Nazioni unite (Unep, dall’inglese) ha misurato in via preliminare l’impatto su suolo, acqua e aria creato dal conflitto a Gaza, definendolo “senza precedenti” per la regione. Nel rapporto si stima che la guerra abbia prodotto 39 milioni di tonnellate di detriti: 107 chili per ogni metro quadrato. Detriti e polvere che essendo contaminati con ordigni inesplosi, amianto, rifiuti industriali e medici e altre sostanze pericolose comportano rischi per la salute umana e l’ambiente. Così come li comportano le drammatiche situazioni igienico-sanitarie in cui versa la Striscia a seguito della chiusura degli impianti di trattamento delle acque reflue. Agenti patogeni, microplastiche e sostanze chimiche pericolose ormai contaminano spiagge, acque costiere, suolo e acqua dolce, rappresentando una minaccia per la salute umana, la vita marina e l’agricoltura. Anche la gestione dei rifiuti solidi ha subito un arresto: cinque strutture su sei sono state danneggiate. Le aree più densamente popolate di Gaza sono inoltre contaminate dai metalli pesanti e dalle sostanze chimiche esplosive contenute nelle munizioni. Questa contaminazione, secondo il rapporto, durerà a lungo e avrà importanti ripercussioni sulla salute umana.
Un altro aspetto che viene sottolineato è che il conflitto ha cancellato alcuni dei progressi, seppur limitati, che erano stati fatti in anni recenti sul piano della gestione ambientale: impianti di desalinizzazione e di trattamento delle acque reflue, la diffusione del solare e gli investimenti per il ripristino della zona umida di Wadi Gaza. La valutazione dell’Unep si basa soprattutto sui dati ricavati grazie al telerilevamento, oppure provenienti da enti tecnici palestinesi, partner multilaterali, letteratura scientifica o da materiale relativo ad attività sul campo delle Nazioni unite. Ma non appena le condizioni di sicurezza lo permetteranno e sarà consentito l’accesso, si legge nella nota che accompagna l’uscita del rapporto, l'Unep intende effettuare una valutazione sul campo (Reuters).
“Turismo, sì. Ma non così”. Tornando a temi estivi, negli ultimi mesi diversi cittadini hanno riempito le strade in Spagna per dire basta al sovraffollamento turistico. Hanno iniziato le isole Canarie ad aprile; poi ci sono state Málaga, Alicante, Cádiz, San Sebastián, Madrid e infine Mallorca. Ma forse la città che ha più efficacemente recapitato il messaggio è stata Barcellona. Nella città catalana lo scorso 6 luglio, alcuni manifestanti hanno bagnato i turisti seduti nei dehors di bar e ristoranti con delle pistole ad acqua. Le immagini dell’“assalto” hanno fatto il giro del mondo. Ma in realtà nel mirino delle proteste non c'erano tanto i visitatori, quanto il modello di turismo che alimentano (Financial Times).
Alle Canarie ad aprile circa 57mila persone sono scese in strada per dire basta a un modello economico che danneggia la popolazione locale e l'ambiente. Tra le proposte di chi ha indetto la mobilitazione c’erano: quella di limitare il numero di visitatori, l'introduzione di un'ecotassa per proteggere l'ambiente, una moratoria sul turismo e un giro di vite sulla vendita di proprietà ai non residenti. Nel 2023 le isole Canarie sono state visitate da 14 milioni di persone, un numero sei volte superiore a quello della popolazione locale (Al Jazeera). Al contempo la Spagna, con 85,1 milioni di turisti nel 2023, è ormai il secondo paese più visitato al mondo. Il settore genera tra il 12 e il 13 per cento di prodotto interno lordo. Eppure come molte località italiane e greche sanno bene, questo tipo di economia porta con sé non poche storture (The Guardian).
Agricoltura o turismo: i dilemmi della siccità. Li illustra bene un recente articolo del New York Times con le foto di Gianni Cipriano. In questo caso a interrogarsi sul proprio rapporto col turismo sono le aree del Mediterraneo maggiormente colpite dalla siccità, come appunto la Catalogna o la Sicilia. L’attuale paesaggio dell’entroterra siciliano è ormai un susseguirsi di distese di pascoli completamente secchi. E con la stagione turistica che entra nel vivo gli amministratori locali si trovano a dover scegliere quale settore privilegiare. “Siamo costretti a sacrificare l'agricoltura, ma dobbiamo cercare di non danneggiare il turismo perché sarebbe ancora peggio”, ha detto Salvatore Cocina, capo della protezione civile siciliana, al New York Times. Per ora non sembrano esserci dubbi sulla direzione presa, anzi. Le autorità affermano che ad avere la priorità sono gli ospedali, le aziende che producono beni fondamentali, le fasce vulnerabili della popolazione. E gli alberghi. Il reportage parla di resort di lusso con campi da golf verdeggianti, non lontani da zone in cui l’acqua viene pesantemente razionata.
Secondo l'Istituto di studi regionali e metropolitani di Barcellona, il consumo di acqua di un ospite medio di un hotel di lusso è cinque volte superiore a quello di un abitante del posto. E contro quello che considerano un uso ingiusto dell’acqua, in Catalogna un gruppo di residenti ha dato vita a una campagna dall’hashtag #NoEnRaja, ovvero non si può prendere qualcosa dove non ce n’è. Per loro, insieme ad agricoltura e industria, il settore turistico è responsabile della cattiva gestione della risorsa idrica.
Un ricercatore del servizio meteorologico nazionale francese, Samuel Somot, dice inoltre al New York Times che in futuro non si potrà escludere il rischio di possibili “guerre per l'acqua” nella regione mediterranea.
Ma l’ultima parola ce l’ha un pastore siciliano che si domanda: “Dovremmo trasferirci tutti sulla costa e fare turismo?”
Un delta in trasformazione. Il delta del Po sta cambiando volto, un cambiamento non sempre facile da notare. In questo triangolo tra il Veneto e l’Emilia Romagna la subsidenza fa sprofondare sott’acqua lembi di terra un tempo strappati al mare, come l’isola di Bonelli Levante a Porto Tolle, una grande risaia in uso tra gli anni 70 e 90 poi abbandonata, o l’antico fortino tedesco di isola Batteria risalente alla seconda guerra mondiale. C'è poi l’avanzata del cuneo salino che soprattutto negli anni in cui piove poco, come il 2022, percorre sempre più chilometri di entroterra: più di 40 nel 2022; 17 lo scorso anno. Oltre a danneggiare gli ecosistemi lungo la costa, l’aumento della salinità dell'acqua rappresenta un problema per le coltivazioni della zona - riso, mais, soia, altri cereali, foraggi e frutta. Circa il 70 per cento dei 140 chilometri quadrati di terra che compongono il delta è infatti coltivato. Ma le infiltrazioni di acqua salata stanno intaccando questa superficie coltivabile. Lo scorso anno la produzione di riso ha subito un calo del 20 per cento. Molti risicoltori sono preoccupati che il mare possa riprendersi la terra. Questi cambiamenti, così come il lavoro dei ricercatori che cercano di trovare delle soluzioni, sono raccontati nel testo e nelle foto di Luigi Avantaggiato pubblicati lo scorso mese su Al Jazeera.
I delfini di Taranto. Guglielmo Mattioli ha recentemente pubblicato un articolo su National Geographic in cui ripercorre il forte - e a tratti dimenticato - rapporto che lega Taranto ai suoi delfini. L'animale compare persino nel mito che racconta la fondazione della città, avvenuta nel 706 avanti Cristo. Proprio a cavalcioni di un delfino, infatti, si narra che Taras, figlio di Poseidone, frequentasse queste zone. L’immagine di Taras che cavalca il cetaceo la ritroviamo sulle monete che la città coniò nel III secolo a.C., così come su molti altri monumenti e reperti. Ma solo recentemente Taranto ha riscoperto questo suo legame con i delfini, che nonostante tutto - non da meno l’importante fase industriale - non hanno mai abbandonato le sue acque. A partire dal 2009 i ricercatori dell'Università di Bari hanno iniziato a censirne e monitorarne la popolazione. Successivamente alcuni progetti hanno deciso di puntare sulla valorizzazione e la conservazione di questi animali simbolo della città, fino alla proposta di istituire un’area marina protetta. Nell’ultimo numero di Lapilli+ puoi leggere la riflessione di Guglielmo nata a margine di questo articolo.
Se invece ti interessasse conoscere il caso di un'area marina protetta finalmente in via di istituzione, ti segnaliamo questo articolo di Martina Ferlisi su Salina, una delle isole Eolie, uscito su Altraeconomia.
I nodi dei rifiuti inviati all’estero. Su Radar Magazine racconto le dinamiche che hanno fatto seguito al divieto della Cina di importare alcune tipologie di rifiuti, tra cui la plastica, a partire dal 2018. Nell’ultima parte mi soffermo soprattutto sulla Turchia, diventata la principale destinazione dei rifiuti plastici europei esportati all’estero. Nell’articolo cerco poi di mettere in luce i problemi di un’infrastruttura debole, quella italiana, che seppur abbastanza dotata di impianti per la selezione, la compattazione e la triturazione dei rifiuti, presenta invece importanti carenze in quelle che sono le fasi successive del ciclo dei rifiuti, o quantomeno un’impiantistica non sufficiente a dare uno sbocco alle frazioni difficilmente riciclabili in esubero.
Un problema in qualche modo simile a quello descritto in un altro articolo, uscito qualche tempo fa su Solomon, che mi aveva colpito molto. Nell’inchiesta realizzata dalla testata greca in collaborazione con Greenpeace e il Basel Action Network si ripercorre il percorso che una bottiglia di plastica fa dopo essere stata buttata in un contenitore della raccolta differenziata di Atene. Seguendola, i giornalisti arrivano in Romania dove, come nella vicina Bulgaria, molti impianti che riciclano plastica sono stati aperti o ampliati dopo il 2018. Entrambi gli articoli sottolineano come esportando i rifiuti, si esportano anche i costi ambientali, sociali e sanitari della loro gestione. Nell’articolo di Radar faccio anche cenno al nuovo regolamento dell’Unione europea sulle spedizioni di rifiuti che, seppur introducendo importanti passi avanti, secondo alcuni esperti potrebbe non essere sufficiente a evitare che i rifiuti europei vadano a inquinare l’acqua, l’aria e il suolo di altri paesi.
A scuola di giornalismo ambientale. Abbiamo un’importante novità in casa Magma. Fino al 30 agosto è possibile fare domanda per iscriversi alla prima edizione della Scuola magmatica di giornalismo ambientale, che si terrà online tra inizio ottobre 2024 e fine febbraio 2025. Il programma è aperto ai giornalisti che vivono nei paesi europei bagnati dal Mediterraneo o che ne percepiscono l'influenza. Sarà molto pratico e si svolgerà in lingua inglese. Nell’arco di cinque mesi, sotto la guida dei mentor Jonathan Moens, Marta Vidal e Agostino Petroni, i partecipanti potranno maturare le proprie conoscenze nel campo del giornalismo ambientale e cimentarsi nella scrittura narrativa, ampliando al contempo il loro portfolio. Per maggiori informazioni su questo progetto, reso possibile grazie al supporto di Journalismfund, clicca qui.
I suoni dei capidogli mediterranei. Ci lasciamo con un affascinante episodio di Sonar, un podcast de Il Post dedicato ai suoni emessi dal mondo animale nelle profondità dell’oceano. In quella che è la seconda puntata, Nicolò Porcelluzzi ci svela i rudimenti del linguaggio dei capidogli e come viene usato per stabilire delle relazioni sociali. Si sente, per esempio, Biagio Violi, ricercatore e vicepresidente dell’associazione Menkab, spiegare come la sequenza di clic, o coda, emessa da questi cetacei nel Mediterraneo sia diversa da quella di altre popolazioni che vivono nei Caraibi o in altre zone dell’Atlantico. Impariamo poi come in altri angoli del mondo ancora, come l’oceano Pacifico, i capidogli si organizzano in clan acustici, che si distinguono e riconoscono tra loro attraverso i suoni che emettono. A comporre questi clan sono essenzialmente capidogli femmina e i loro piccoli. Solo le femmine infatti restano insieme per tutta la vita, mentre i maschi una volta adulti vengono lasciati andare per la loro strada. Ma senza svelarti altro, ti invitiamo a lanciarti nell’ascolto di questa puntata di Sonar dedicata al linguaggio dei capidogli.
GUIA BAGGI
Giornalista indipendente, scrive di ambiente e nello specifico della relazione tra l’uomo e il mondo che lo circonda. Negli ultimi anni si sta concentrando sugli impatti che i cambiamenti climatici e altre crisi ambientali hanno sull'area mediterranea – ma anche su iniziative legate all'adattamento. Per questo ha ideato e co-fondato Magma.Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a settembre, o prima con Lapilli+.
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