Nei Lapilli di questo mese raccontiamo cosa sono le “lacrime di sirena”, quelle palline di plastica dal diametro di pochi millimetri che vi sarà forse capitato di trovare in spiaggia durante l’estate. Parliamo anche delle possibili emissioni di anidride carbonica della guerra su Gaza e della complessa filiera globale dietro alla pasta. Ma non solo: il potenziale che l’intelligenza artificiale potrebbe avere nel monitorare la pesca illegale, l’alleanza tra piante e funghi che dura da centinaia di milioni di anni e l’adozione di tecniche agricole olistiche per coltivare le viti, a dimostrazione che adattarsi al nuovo clima è possibile. Buona lettura!

L’ubiquità dei pellet di plastica. Insieme a Marcello Rossi, per un’inchiesta supportata da Investigative journalism for the European Union, abbiamo raccolto storie e dati sull’inquinamento da polimeri di plastica in Europa. Qualcuno li ha persino ribattezzati “lacrime di sirena”, probabilmente perché sembrano piccoli cristalli quando vengono ritrovati tra la sabbia. Volgarmente chiamati anche “pellet” o “nurdle”, i polimeri di plastica sono l’anello che collega gas naturale e petrolio agli oggetti di plastica che usiamo ogni giorno. Insomma, tutto ciò che è di plastica all’origine è stato una manciata di polimeri. Questa materia prima, che è ancora molto economica e prodotta da poche multinazionali, si disperde nell’ambiente in quantità che si stimano essere intorno alle 165mila tonnellate annue solo nell’Unione europea.

Un recente incidente, avvenuto sulle coste della Galizia, a seguito della perdita di container durante il trasporto marittimo, ha mostrato il devastante impatto sull’ambiente di miliardi di palline di plastica disperse in mare (LifeGate).

E se i polimeri vengono annoverati tra le microplastiche più grandi (circa 5 millimetri di diametro), con il passare del tempo diventano sempre più piccoli, fino a venire assorbite dall’ambiente marino ed entrare nella catena alimentare umana. La Commissione europea intende ora regolamentare produzione e trasporto dei “pellet”.

Nella nostra inchiesta, siamo stati in alcuni dei poli di produzione principali, quelli di Tarragona, in Catalogna, e a Brindisi, in Puglia, per capire perché questa contaminazione silenziosa non venga contenuta. Il risultato può essere letto su EUObserver in inglese, su Climatica in spagnolo e presto sarà disponibile anche in italiano.

L’impatto ambientale della guerra. Riprendendo un recente studio diffuso su Social Science Research Network, un articolo del Guardian racconta come la guerra portata avanti a Gaza si traduce in emissioni di CO2. Nei primi 60 giorni del conflitto è come se si fossero bruciate 150mila tonnellate di carbone, ovvero 281mila tonnellate di anidride carbonica rilasciate nell’atmosfera. Più delle emissioni annuali di CO2 di piccoli paesi come il Belize o la Repubblica centrafricana. Secondo i dati dello studio ripreso dal Guardian, circa la metà di queste emissioni sono dovute principalmente al trasporto di armi e bombe dagli Stati Uniti a Israele. Questo calcolo però non prende in considerazione l’impatto ambientale della produzione degli armamenti usati e nemmeno i costi eventuali per la ricostruzione di oltre 100mila edifici distrutti e danneggiati. Il calcolo in questo caso sarebbe da cinque a otto volte quello attualmente stimato. Numeri che non vogliono distogliere dalla tragedia umana di oltre 25mila vittime, ma piuttosto aggiungere una riflessione e un’indignazione nei confronti di un’azione militare che ha oltrepassato ogni giustificazione possibile.

Il lungo viaggio dal grano alla pasta. Slow News pubblica l’ultimo episodio della serie ‘Mani in pasta’, in cui la giornalista Sara Manisera ripercorre l’intera filiera della pasta. Alimento ormai globalizzato, così come globale è stato l’approccio a questa inchiesta durata un anno. Dalla Mesopotamia alla biblioteca del grano in provincia di Salerno, passando dalle colline della Borgogna, in Francia, e a quelle della Basilicata, in sud Italia, dove si trova uno dei mulini più grandi d’Europa. Quante varietà di cereali mangiamo e chi controlla la filiera? Quali sono gli oligopoli che controllano il commercio dei cereali, una base essenziale della nostra dieta? Tutti gli articoli si trovano in italiano e in inglese qui.

Micorriza: l’alleanza tra il regno delle piante e quello dei funghi. La storia di un’antica relazione, quella tra piante e funghi, raccontata attraverso le sorprendenti fotografie di un paesaggio alpino. In questo articolo di Radar Magazine, Anna Violato e Elisabetta Zavoli esplorano la simbiosi tra questi due regni iniziata 600 milioni di anni fa.

Intelligenza artificiale e pesca illegale. Uno studio pubblicato su Nature stima, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, che i pescherecci industriali siano di gran lunga superiori ai dati ufficiali. Secondo un calcolo complesso, fatto grazie a una serie di dati incrociati, emerge che circa il 75 per cento dei pescherecci industriali si muove senza essere tracciato. Sistemi satellitari come l’Ais (sistema di identificazione automatica) sono obbligatori per imbarcazioni dedite alla pesca industriale in zone come il Mediterraneo, ma non lo sono per le piccole imbarcazioni dedite alla pesca artigianale. Che questi obblighi venissero ignorati era cosa nota, ma lo studio mostra visivamente l’enormità delle attività di pesca che avvengono senza tracciamento.

Pescherecci non tracciati tra Sicilia e Tunisia (ESA, fonte dei dati: Paolo et al., 2024/Global Fishing Watch).

Un altro studio ha inoltre recentemente stimato l’impatto ambientale che la pesca a strascico potrebbe avere in termini di emissioni di CO2. Infatti i fondali marini immagazzinano notevoli quantità di carbonio, ma il rastrellamento dei fondali, oltre al danno sulla flora e la fauna marina, sprigiona grandi quantità di CO2 (National Geographic). Il risultato combinato di questi ultimi due studi potrebbe accelerare le misure legislative necessarie per combattere la pesca illegale e monitorare la pesca a strascico.

Un’agricoltura più integrata. Dati alla mano, il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre a livello globale. Tuttora persiste una siccità nel Mediterraneo occidentale che sta portando la Catalogna vicino alla soglia di allarme, con le riserve d’acqua negli invasi che alimentano Barcellona al 16 per cento in pieno inverno. In Marocco il governo ha deciso di chiudere gli hammam e gli autolavaggi per tre giorni alla settimana per affrontare una siccità che persiste dal 2019. In questo scenario, per poter affrontare le nuove condizioni climatiche, alcune aziende agricole dell’area mediterranea si stanno convertendo a un’agricoltura biodinamica più integrata nell’ambiente, nei Pirenei catalani come a Montalcino, in Toscana (Forbes).

Il ghiaccio che fonde. Un documentario di Arte racconta quelle che sono le implicazioni della fusione dei ghiacciai, soprattutto per l’acqua potabile. Un time-lapse condiviso qualche mese fa dal Servizio glaciologico lombardo mostra un caso a noi vicino: lo scioglimento del ghiacciaio Fellaria, in provincia di Sondrio.

DAVIDE MANCINI
Giornalista freelance, si occupa di ambiente. Ha pubblicato diverse inchieste per media internazionali su argomenti come incendi forestali, pesca illegale e inquinamento del mare. Scrive, fotografa e filma i cambiamenti in atto nell’area del Mediterraneo. Qui trovi i suoi articoli.

Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a marzo o prima con Lapilli+.

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