Questo mese dedichiamo buona parte della newsletter alla tempesta Daniel, che ha causato prima inondazioni in Grecia - soprattutto in Tessaglia -, Bulgaria e Turchia, per poi evolversi in ciclone mediterraneo con caratteristiche tropicali, noto anche come medicane, sopra il nord della Libia, dove ha dato origine a una delle peggiori alluvioni lampo degli ultimi tempi. E se comunque i medicane non sono una novità, è importante ricordare che, secondo l'ultimo rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), si prevede che diventeranno meno frequenti ma più intensi con l'aumento delle temperature.

Ma non è tutto. In questa newsletter ci occupiamo anche di una specie invasiva di formica che si potrebbe diffondere nella regione mediterranea, di come i cambiamenti climatici stiano influenzando la vendemmia in Italia e la produzione di olio in Spagna, dei funerali ai ghiacciai e dell'inquinamento dell’aria in Europa. Speriamo che ti piaccia, buona lettura!

Ti preannunciamo anche che questo mese invieremo la nostra newsletter premium Lapilli+ a tutti i nostri iscritti. Il numero in programma sarà incentrato sui cambiamenti climatici visti attraverso la fotografia.

Medicane provoca morte e distruzione in Libia. All'inizio di settembre diversi paesi del Mediterraneo hanno subito intense inondazioni. La prima a essere colpita è stata la Spagna (Reuters). Pochi giorni dopo una grande tempesta di nome Daniel ha attraversato la Turchia, la Bulgaria, la Grecia per poi spostarsi verso sud, assumendo le caratteristiche di un medicane prima di raggiungere le coste settentrionali della Libia (Geopop). Un medicane è una perturbazione che si verifica nel Mediterraneo (Medi) e che per molti versi si comporta come un ciclone tropicale o un uragano (in inglese hurricane). Rispetto ai cicloni tropicali, i medicane sono di dimensioni più piccole e hanno una vita più breve. Come gli uragani, portano forti venti, mare mosso e tanta, tanta pioggia (The Guardian).

La Grecia e la Libia sono stati i paesi più segnati dal passaggio di Daniel. Dopo un'estate di incendi mortali e ondate di calore da record, la Grecia, e in particolare la regione centrale della Tessaglia, ha ricevuto quantità di pioggia straordinarie: in alcune zone in 13 ore sono caduti 650 millimetri di pioggia, quando ad Atene ne scendono in media 400 millimetri l’anno (The New York Times).

Secondo gli scienziati, l'intensità di perturbazioni come Daniel aumenterà con il riscaldamento delle temperature dell'acqua nel Mediterraneo (Repubblica.it via Msn). L’iniziativa World Weather Attribution ha invece confermato il legame tra le forti piogge di inizio settembre in Spagna, Grecia, Bulgaria, Turchia e Libia, e l'aumento delle temperature e ha stimato che, senza i cambiamenti climatici indotti dall'uomo, questi eventi sarebbero stati meno intensi e avrebbero avuto un periodo di ritorno, ossia la frequenza media con cui si ripetono, più lungo.

Questa immagine satellitare mostra la tempesta Daniel mentre si abbatte sulla Libia lo scorso 10 settembre (Osservatorio del sistema terra della Nasa).

In questo contesto, la Libia ha affrontato probabilmente la peggiore alluvione lampo mai registrata nella sua storia. Il 10 settembre, Daniel si è abbattuto sulla parte nord-orientale del paese scaricando una quantità di pioggia senza precedenti per quelle zone, inondando vaste aree e dando origine a un'alluvione lampo che ha distrutto un quarto della città di Derna, nella Cirenaica orientale. La città si trova proprio accanto al Wadi Derna, un fiume effimero che è asciutto per la maggior parte dell'anno. Ma la notte dell'11 settembre, il letto del Wadi si è riempito di un'enorme quantità d'acqua. Sotto la pressione della corrente, una prima diga è crollata. Poi, una seconda diga, molto più vicina alla città, ha ceduto lasciando che 30 milioni di metri cubi di acqua e detriti distruggessero tutto ciò che si trovava sul loro cammino. Nell'immediato, il bilancio delle vittime è stato di oltre 11mila persone, con più di 10mila dispersi.

Una combinazione di fattori ha reso quanto accaduto a Derna particolarmente distruttivo. Innanzitutto, una quantità di pioggia senza precedenti. In tre giorni l'area ha ricevuto 100 millimetri di pioggia rispetto a una media mensile di 1,5 mm. Anche la conformazione del Wadi è stata un fattore determinante, agendo come un cannone d'acqua puntato verso la città. Il crollo delle due dighe ha poi fatto sì che un muro d'acqua alto da tre a sette metri, pieno di detriti e grandi pezzi di roccia e cemento, travolgesse Derna, distruggendo tutto ciò che gli si paventava davanti. In aggiunta, tutto questo è avvenuto di notte, quando la gente dormiva nelle proprie case.

Per comprendere la portata di ciò che è accaduto e come è accaduto, suggeriamo questo servizio della Bbc sul perché i danni a Derna siano stati così catastrofici. Anche il Guardian ha pubblicato una serie di immagini che mostrano la città libica prima e dopo l'alluvione e Al Jazeera ha fatto un approfondimento sul perché le due dighe costruite negli anni 70 non avevano alcuna possibilità di resistere alla forza dell'acqua. Il servizio di immagini satellitari Copernicus ha inoltre pubblicato su X, un tempo noto come Twitter, un'immagine che mostra l'entità delle inondazioni in Libia. E per capire meglio cosa rappresenta Derna per la cultura libica, suggeriamo questo articolo del New York Times.

Al contempo Derna è un avvertimento per tutti i paesi del Mediterraneo: quando un'intensa tempesta, amplificata dai cambiamenti climatici, incontra una cattiva gestione del territorio, una mancanza di infrastrutture di mitigazione e adattamento, una nazione divisa in fazioni rivali, senza un efficace sistema di allerta o una squadra di emergenza, le conseguenze possono essere devastanti (The Atlantic).

Il magro raccolto delle colture mediterranee. In Italia settembre vuol dire vendemmia, ma la produzione 2023 è stata inferiore del 12 per cento rispetto all'anno scorso e il cambiamento climatico potrebbe c’entrarci qualcosa. Secondo gli esperti e le organizzazioni del settore, il clima irregolare degli ultimi anni ha avuto un impatto negativo sui livelli di produzione. Dopo due anni di siccità, infatti, i primi 8 mesi del 2023 hanno visto il 70 per cento di giorni di pioggia in più rispetto all'anno precedente. Questa maggiore quantità di acqua ha innescato la proliferazione della Peronospora, un organismo simile a un fungo, che danneggia la produzione dei vigneti (Il Sole 24 Ore).

Negli ultimi anni, siccità e ondate di calore hanno influito negativamente anche sui livelli di produzione di olio, in particolare in Spagna, ma anche in Grecia, Italia e Portogallo, oltre che in Turchia e Marocco (The Guardian).

E nel caso te lo stia chiedendo, la nostra immagine di copertina ritrae il tronco di un ulivo.

Dove la terra trema. Ci sono poi altre due notizie che vogliamo segnalare che hanno poco a che fare con i cambiamenti climatici, ma molto con il Mediterraneo. L'8 settembre il Marocco è stato colpito dal terremoto più forte degli ultimi 60 anni, che ha causato quasi 3,000 morti e distrutto molti villaggi nelle montagne dell'Alto Atlante intorno a Marrakech (The New York Times).

Inoltre, l'area dei Campi Flegrei, intorno a Napoli, continua a tremare. Da giorni si susseguono scosse molto forti, una delle quali di magnitudo 4.2 è forse la più forte degli ultimi 40 anni (Ansa). La città di Napoli si trova infatti tra il Vesuvio, un vulcano attivo la cui ultima eruzione risale al 1944, e i Campi Flegrei, un'ampia caldera nota per il suo bradisismo, il lento innalzamento e abbassamento del suolo. Gli scienziati temono che prima o poi una nuova attività vulcanica, del Vesuvio stesso o dei Campi Flegrei, si verifichi nel bel mezzo di una città metropolitana tra le più dense d'Europa e che il piano di evacuazione attuale non sia sufficiente a gestire questa eventualità (Reuters). Sulle minacce che questo supervulcano rappresenta oggi e sulle più recenti preoccupazioni degli scienziati, suggeriamo la lettura del servizio di Agostino Petroni per Undark, tradotto da Internazionale (riservato agli abbonati).

A lutto per i ghiacciai. Il primo funerale di un ghiacciaio è avvenuto in Islanda nel 2019. Il New Yorker all’epoca ci fece un lungo articolo. Da allora il fenomeno non si è fermato. All'inizio di settembre, un gruppo di persone si è riunito sulle Alpi francesi per dare l'addio al ghiacciaio Sarenne. Negli stessi giorni, un evento simile si è verificato sul ghiacciaio più grande dell'Austria, il Pasterze. I ghiacciai vengono dichiarati morti quando il loro ghiaccio diventa così sottile da smettere di muoversi, crescere ed evolversi. Secondo l'Accademia svizzera delle scienze, solo negli ultimi due anni i ghiacciai svizzeri hanno perso il 10 per cento del loro volume. Il funerale è un modo per elaborare gli effetti del cambiamento climatico e dare l'addio ad ambienti naturali che stanno scomparendo, offrendo alle persone l'opportunità di affrontare il lutto per queste perdite. I funerali possono quindi contribuire ad aumentare la consapevolezza, ad accettare la realtà delle cose e a incentivare azioni per prevenire queste morti (The Guardian).

Cos’ha perso un apicoltore negli incendi di luglio. Sempre in tema di emozioni legate all’ambiente, su Al Jazeera Stefania D'Ignoti racconta il senso di smarrimento di un apicoltore siciliano che ha perso la casa e si è ritrovato costretto a cambiare lavoro a causa degli incendi che a luglio hanno circondato la città di Palermo. La sua storia è un esempio toccante di eco-lutto e anche dei costi che il cambiamento climatico può comportare a livello personale e umano.

Formiche di fuoco e altre specie invasive. In un recente studio pubblicato su Current Biology, gli scienziati hanno identificato per la prima volta 88 nidi di formiche di fuoco o guerriere, note anche come Solenopsis invicta, vicino a Siracusa, in Sicilia. Questa specie invasiva è originaria del Sud America e da tempo si sta diffondendo in tutto il mondo. Sono considerate piuttosto dannose perché attaccano i raccolti, infestano le automobili e le apparecchiature elettriche e tendono a soppiantare le formiche autoctone. È la prima volta che in Europa viene confermata la presenza di questo tipo di formica in natura. Amano il clima caldo e le città portuali lungo le coste del Mediterraneo si prestano particolarmente a facilitarne la proliferazione (The Guardian).

La formica di fuoco è inoltre una delle specie invasive più distruttive al mondo e la quinta più costosa per danni causati (Wired). Esemplifica bene l'enorme minaccia che le specie aliene rappresentano per la biodiversità, un problema che spesso viene trascurato finché non è troppo tardi. Proprio su questo si sofferma un recente rapporto della Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes), che, oltre a far luce sul problema, suggerisce soluzioni. Il documento fornisce anche alcuni numeri: 37mila specie aliene sono state introdotte dall'uomo in luoghi dove non si trovavano naturalmente; 3.500 sono dannose per la biodiversità e gli ecosistemi e solo nel 2019 sono costate all'economia globale 401 miliardi di euro, una cifra che dal 1970 è quadruplicata di decennio in decennio. Tuttavia, molte misure, tra cui il ripristino degli ecosistemi, possono essere adottate per prevenire e controllare le specie aliene invasive.

Ma in Italia la star principale di quest'estate resta il granchio reale blu. Innumerevoli storie sono apparse su questa creatura ormai comune in molte aree costiere del Mediterraneo. Non per vantarci, ma la nostra Guia Baggi ne ha scritto quando ancora non era un argomento così caldo (Mongabay). Recentemente anche il New York Times è andato a visitare uno dei posti che più ha risentito della presenza di questo crostaceo, Goro, in Emilia Romagna. L'economia di questa zona ruota attorno alla coltivazione della vongola, anch'essa una specie invasiva importata appositamente dalle Filippine negli anni 80, ora preda del granchio blu. La cittadina sta lottando per salvare la molluschicoltura e allo stesso tempo per rendere il granchio blu un prodotto redditizio.

Quanto è inquinata l'aria che respiriamo? Una recente inchiesta del Guardian ha rivelato che quasi tutti gli abitanti d'Europa respirano aria con livelli pericolosi di sostanze inquinanti. Secondo il quotidiano britannico, che ha analizzato i dati di oltre 1.400 stazioni di monitoraggio, il 98 per cento delle persone vive in aree con un inquinamento da particolato fine altamente dannoso, oltre le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità. Una mappa interattiva permette ai lettori di esplorare le aree più inquinate del continente europeo (The Guardian).

GUGLIELMO MATTIOLI
Producer multimediale, ha contribuito a progetti innovativi usando realtà virtuale, fotogrammetria e live video per il New York Times. In una vita passata faceva l’architetto e molte delle storie che produce oggi riguardano l’ambiente costruito e il design. Ha collaborato con testate come The New York Times, The Guardian e National Geographic. Vive e lavora a New York da quasi 10 anni.

Questo è tutto per questo mese. Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a novembre o tra un paio si settimane con la Lapilli+.

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