Lapilli di questo mese non può che iniziare dalle alluvioni e dalle frane che hanno colpito l’Emilia Romagna. Molto è stato scritto e detto, alla ricerca di spiegazioni. C’è chi si è focalizzato sulla gestione territoriale e il consumo di suolo, chi sul cambiamento climatico e sull’intensità delle precipitazioni, chi sulla naturale conformazione morfologica della zona, prona a questo tipo di eventi. Sotto riportiamo alcuni approfondimenti a nostro avviso interessanti per capire un fenomeno tanto complesso, in cui giocano moltissimi fattori e dove non c’è una sola, facile spiegazione. Ci sono due aspetti che a noi di Magma hanno colpito particolarmente. Il primo è la dimensione mediterranea del fenomeno: le precipitazioni di maggio facevano parte di un ciclone che si estendeva dalla Tunisia alle Alpi, con l’Emilia Romagna epicentro delle precipitazioni più intense. L’altro aspetto è il nostro rapporto con l’acqua. Questo è un tema meno dibattuto, sul quale abbiamo intervistato il presidente dell’ordine dei geologi dell’Emilia Romagna, Paride Antolini, che ci ha raccontato di come l’acqua abbia una sua memoria storica e si ricordi sempre dove andare, mentre noi umani spesso ce ne dimentichiamo. Abbiamo costruito argini, dighe, canali, bacini di espansione per governare l’acqua e adesso si parla di come costruirne di più forti e di più grandi, ma molto poco si dice su come imparare a convivere con l’acqua - o con la sua mancanza. La pianura padana è una pianura alluvionale, quindi per sua natura formata dalle alluvioni dei fiumi, e la bassa in particolare. Secondo Antolini, un tempo si era raggiunto un equilibrio tra acqua e uomo nelle zone colpite. Ma col boom economico del dopoguerra questo equilibrio in qualche modo è saltato e oggi ne paghiamo le conseguenze.
In questo numero di Lapilli ci concentriamo poi su avvistamenti che fanno ben sperare, granchi blu e sui piani spagnoli per mitigare gli effetti della siccità.
Le alluvioni in Emilia Romagna, contestualizzate. Da inizio maggio grandi alluvioni e numerose frane hanno colpito l’Emilia Romagna. Si è scritto e dibattuto molto sulla gestione del territorio, il consumo di suolo (l’Emilia Romagna è la terza regione più cementificata d'Italia e Ravenna tra le città che ha consumato più suolo negli ultimi anni, secondo il rapporto sul consumo del suolo 2021). A complicare la situazione, l’Emilia Romagna è, per sua conformazione morfologica, una delle regioni a più alto rischio idrogeologico d’Italia, avendo una pianura alluvionale da un lato e gli Appennini argillosi dall’altro.
Un altro aspetto di cui si è molto parlato è il legame tra questo evento e il cambiamento climatico. Un breve studio appena pubblicato dal World Weather Attribution, l’organizzazione di scienziati che si occupa di stabilire il nesso tra i singoli eventi estremi e la crisi climatica, ha analizzato i dati sulle precipitazioni nella zona dagli Anni 60 a oggi arrivando alla conclusione che il cambiamento climatico ha avuto un ruolo limitato nelle piogge intense che a maggio hanno interessato l’Emilia Romagna, riconducibili invece a un evento di portata eccezionale con probabilità di ripetersi ogni 200 anni circa (Il Post). Gli autori dello studio hanno comunque sottolineato quanto il ciclo idrologico della regione mediterranea sia notoriamente influenzato dal riscaldamento globale e l'atteso aumento della siccità. Per gli eventi di pioggia intensa invece la prospettiva è che diventino meno frequenti, ma più intensi, e per lo più concentrati in autunno.
Su questi temi vi segnaliamo alcune analisi e degli strumenti cartografici per capire meglio cos’è successo:
- In Emilia Romagna l’alluvione forse non è colpa del clima, ma il disastro è colpa dell’uomo (Domani).
- I geologi: “I fiumi si sono ripresi quello che l’uomo gli aveva tolto in secoli di storia” (Ambiente.it).
- In Romagna sono esondati anche i bacini costruiti per evitare gli allagamenti (Il Post).
- La rete infrastrutturale deve fare i conti con un mondo che cambia e nel quale le alluvioni, le tempeste di vento, le precipitazioni estreme sono aumentate in maniera significativa (Quotidiano Nazionale).
- Alluvione e siccità, il climatologo spiega perché coesistono: “L’agricoltura si adegui”. Intervista a Bernardo Gozzini (Ibe-Cnr e consorzio Lamma) (Quotidiano Nazionale).
- Ecco tutte le alluvioni che hanno colpito l'Emilia Romagna (Il Foglio).
- I satelliti mostrano i danni delle alluvioni in Emilia Romagna (Fanpage.it).
Mappe interattive:
- Osservatorio nazionale città clima;
- Carta del rischio idrogeologico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
A noi di Magma, che cerchiamo spesso una dimensione mediterranea delle cose, ha colpito un’immagine, o meglio un’elaborazione grafica dell’evento meteorologico che ha scatenato l’alluvione. Si trova in un rapporto pubblicato il 17 maggio dall’Ispra, e ve la riportiamo qui sotto:
Si tratta dell’analisi meteorologica del ciclone Minerva, che dalla Tunisia si è diretto verso nord “spingendo per l'intera giornata del 16 le masse d'aria umida in una sorta di 'imbuto' puntato sull'Appennino. A causa del sollevamento orografico, tale conformazione ha prodotto un’intensa precipitazione, anche in assenza di instabilità atmosferica, finendo per scaricare il contenuto dell'intera massa di aria umida sempre sulla stessa zona”. Da qui le precipitazioni record, fino a 150-200 millimetri di pioggia in 24 ore (la media per l’intero mese di maggio è di 80 millimetri).
C’è poi un altro aspetto dell’alluvione che ci ha colpiti e di cui, a nostro avviso, si parla troppo poco: il rapporto che abbiamo con l’acqua e la nostra capacità di vivere in equilibrio con le condizioni morfologiche del territorio (per chi fosse interessato ad approfondire, segnaliamo il libro di Erica Gies, Waters Always Wins - L’acqua vince sempre -, in cui l’autrice esplora modi alternativi di convivenza con l’acqua rispetto ai vani tentativi di domarla). Su questo tema abbiamo parlato con un esperto, Paride Antolini, presidente dell’ordine dei geologi dell’Emilia Romagna, che ci ha spiegato come in questa regione gli uomini, sin dai tempi dei romani, abbiano cercato di strappare la terra all’acqua, trovando un equilibrio che poi è saltato dopo la seconda guerra mondiale. “Questo sviluppo così forte che abbiamo avuto - ha detto Antolini - ci ha fatto perdere la capacità di vivere in questo territorio. Abbiamo pensato piuttosto di domarlo”.
Nei vari secoli, argomenta Antolini, abbiamo sempre cercato di incanalare l'acqua dove volevamo noi. A volte anche riuscendo a trovare un equilibrio. “Grazie ai consorzi di bonifica e con opere ingegneristiche, infatti, siamo riusciti a portare le acque basse, quelle che formano paludi e che non defluiscono naturalmente, in canali a quote rialzate, e da lì le abbiamo fatte defluire verso il Reno e poi verso il mare". Però l’incidente arriva sempre: una precipitazione record, si rompe un argine e l’equilibrio salta. “La vulnerabilità zero non esiste”, conclude Antolini.
Allagamenti e siccità in Spagna. Sembrano due concetti opposti e invece, inondazioni e siccità, a frequenza sempre più ravvicinata, saranno entrambe sempre più all'ordine del giorno per la crisi climatica in atto. Dopo circa 32 mesi di deficit idrico, il 25 maggio, anche il sud della Spagna - come del resto pochi giorni dopo l’Algeria (Floodlist) e la Giordania (Arab News) -, è stato colpito da piogge torrenziali che hanno causato diversi allagamenti in Andalusia, Murcia, Valencia (Reuters). A metà mese il paese aveva approvato un piano straordinario del valore di 2,2 miliardi di euro per costruire nuovi impianti di desalinizzazione e riciclo dell’acqua, oltre ad aiutare economicamente agricoltori e coltivatori che più risentono della siccità (Lifegate).
Il granchio blu e la pesca delle specie invasive. Segnaliamo il reportage della nostra Guia Baggi sul granchio blu, specie invasiva che si sta diffondendo nel Mediterraneo, pubblicato questo mese su L’Essenziale. Guia ha già trattato di specie invasive in passato e in quest’ultimo pezzo si interroga se la pesca e il consumo del granchio blu, che al momento ha pochissimi predatori nel Mediterraneo, possa essere uno strumento efficace per contenerne danni ed espansione. Il nodo da sciogliere resta stabilire un obiettivo chiaro fin dall’inizio per la pesca delle specie invasive, in vista anche dei cambiamenti che la biodiversità del nostro mare sta vivendo. Sui nuovi abitanti del Mediterraneo verrà dedicata un’intera serie sul sito di Magma - ne riparleremo anche in Lapilli+. Intanto, se vuoi ricevere nella tua casella di posta i nostri articoli, seleziona "Magma" tra le newsletter disponibili.
Gli sforzi per salvare le anguille del Po. La popolazione di anguille europee (Anguilla anguilla) è crollata del 97 per cento dal 1980. Una serie di fattori, tra cui la pesca illegale, le dighe che ne ostacolano la migrazione, la siccità, l'inquinamento e i cambiamenti dell'habitat, mettono a rischio la sopravvivenza di questo animale. Le anguille infatti si riproducono una sola volta nella vita, nel mar dei Sargassi, dove muoiono. La peculiarità del loro ciclo vitale complica ulteriormente gli sforzi di conservazione. Lungo il bacino del Po, i ricercatori stanno lavorando per facilitare la vita alle anguille attraverso interventi che includono la costruzione di passaggi, la riproduzione in cattività e la formazione dei pescatori mirata a rilasciare in acqua quegli esemplari che sembrano avere più probabilità di riprodursi (Mongabay).
Avvistamenti ravvicinati. Continuano gli avvistamenti degni di nota nel Mediterraneo. Dopo la megattera al largo di Noli, di cui si sono perse le tracce - e si spera sia tornata nell’oceano -, questo mese ci sono stati vari avvistamenti di foche monache (Monachus monachus), una specie che, al contrario della megattera, era molto diffusa nel Mediterraneo fino a qualche decennio fa e che adesso è quasi scomparsa. Erano infatti 50 anni che non si vedeva una foca monaca nel golfo di Napoli. Invece, lo scorso 7 maggio, un esemplare è stato notato al largo di Capri, nell’area marina protetta di Punta Campanella (Fanpage.it). Ma non solo, nelle scorse settimane un altro mammifero è stato visto nel Gargano, vicino alla laguna di Lesina, in Puglia (Corriere del Mezzogiorno); mentre in Israele l’apparizione su una spiaggia a Jaffa di una femmina di foca monaca, a cui è stato dato persino un nome, ha destato grande partecipazione nonostante i conflitti e le crisi in corso (The New York Times).
Per andare invece alla scoperta del mondo sommerso nascosto nelle profondità del mar Mediterraneo con Laurent Ballesta, scienziato marino e fotografo subacqueo, suggeriamo un video di non troppo tempo fa.
GUGLIELMO MATTIOLI
Producer multimediale, ha contribuito a progetti innovativi usando realtà virtuale, fotogrammetria e live video per il New York Times. In una vita passata faceva l’architetto e molte delle storie che produce oggi riguardano l’ambiente costruito e il design. Ha collaborato con testate come The New York Times, The Guardian e National Geographic. Vive e lavora a New York da quasi 10 anni.Questo è tutto per questo mese. Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a luglio - oppure tra un paio di settimane se ti interessa leggere Lapilli+.
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