In questo numero di Lapilli+ ci occupiamo di un’iniziativa che affronta il problema dei rifiuti che si trovano nell’ambiente marino e in particolar modo quelli che derivano dalla presenza di impianti di piscicoltura abbandonati nella Grecia occidentale. Quando gli allevamenti di pesci a mare falliscono e lasciano in acqua le proprie strutture, queste deteriorandosi creano problemi di inquinamento ambientale nonché di sicurezza per la navigazione. Tale condotta contribuisce a esacerbare una situazione già non brillante. Uno studio del 2015 sostiene infatti che nel mar Mediterraneo i rifiuti raggiungano densità paragonabili a quelle osservate nei cinque principali vortici che le correnti formano negli oceani.

I rifiuti marini (o marine litter, dall'inglese)

I rifiuti marini possono avere origini sia marine che terrestri. Le fonti marine includono le attività di pesca, l'acquacoltura, il trasporto marittimo e le attività estrattive offshore. Quelle terrestri invece sono: la cattiva gestione dei rifiuti, gli scarichi industriali, gli scarichi fognari urbani non trattati e le attività turistiche e ricreative.

I rifiuti marini rappresentano una minaccia significativa e multiforme. Tra i rischi principali vi sono l'impigliamento e l'ingestione di detriti da parte della fauna selvatica, che possono causare lesioni o morte. La plastica contribuisce anche al bioaccumulo e alla biomagnificazione delle sostanze tossiche rilasciate dagli oggetti di plastica o che si legano alle particelle di plastica (ndr, i processi attraverso cui gli inquinanti si accumulano nei tessuti degli organismi e per cui la loro concentrazione aumenta per ogni anello della catena alimentare). Inoltre, i rifiuti marini possono causare danni agli habitat coralligeni - soprattutto gli attrezzi da pesca - e il soffocamento degli organismi che vivono sul fondale, tutti fattori che si ripercuotono sulla salute degli ecosistemi marini. Inoltre, studi recenti evidenziano che le plastiche possono agire come moltiplicatori di minacce, intensificando gli effetti di altri fattori di stress, come il cambiamento climatico, e persino introdurre specie invasive che disturbano gli ecosistemi.

Dalla corrispondenza con Thomais Vlachogianni, chimica ambientale ed ecotossicologa presso l'Ufficio informazioni del Mediterraneo per l'ambiente, la cultura e lo sviluppo sostenibile (MIO-ECSDE)

A Menidi, una spiaggia che si affaccia sul golfo di Arta, nel nord-ovest della Grecia, Pascal van Erp ha assistito a una scena alquanto lugubre lo scorso ottobre. Mentre si trovava lì come subacqueo tecnico, nonché come fondatore dell’organizzazione nonprofit Ghost Diving, per partecipare all’operazione “Allevamenti ittici fantasma - Ripristinare le acque”, ha notato alcuni esemplari di airone cenerino senza vita all’interno di una struttura per la piscicoltura recentemente abbandonata.

Già altre volte van Erp si era imbattuto in carcasse di mammiferi o uccelli marini rimasti vittima di questi impianti. Sanno che c'è del pesce dentro quelle gabbie, mi ha detto, ma quando fanno per prenderlo, non riescono più a uscire e muoiono.

Alcune strutture per la piscicoltura presenti a Menidi, nel nord-ovest della Grecia, al momento dell'intervento di Healthy Seas

A prescindere da queste morti accidentali, gli allevamenti di pesce a mare abbandonati rappresentano per lo più una minaccia per la sicurezza delle imbarcazioni e l’ambiente marino. Le loro strutture fatte di plastica, polistirolo, corde e metallo, col tempo si degradano e diventano rifiuti marini. Le reti usate come gabbie o recinti possono cadere sul fondale e soffocare la fauna e la vegetazione sottostante (ma col tempo anche ospitarne di nuova); mentre plastica e polistirolo deteriorandosi possono venire ingeriti da creature marine, col rischio di ferirle, se non addirittura provocarne la morte, e di entrare nella catena alimentare. Secondo un paio di esperti che ho contattato per la stesura di questa newsletter, il problema degli allevamenti ittici fantasma, seppur su scala diversa, è potenzialmente e verosimilmente presente in tutte quelle aree in cui da anni si fa acquacoltura a mare. In Grecia, secondo un’indagine condotta da Ozon, un’organizzazione non governativa partner della fondazione olandese Healthy Seas, che tiene le fila dell’operazione “Allevamenti ittici fantasma” cui ha preso parte van Erp, 150 siti costieri potrebbero essere contaminati da rifiuti prodotti dalla piscicoltura.

Un frame con le località in cui, secondo le rilevazioni fatte da Ozon, è possibile che ci siano rifiuti marini provenienti dagli allevamenti ittici. Si tratta di dati che devono ancora essere approfonditi con ulteriori indagini per determinare se gli allevamenti ittici vicini a queste aree siano attivi, inattivi e in che stato si trovino.

“È difficile determinare la portata del problema degli allevamenti ittici abbandonati”, mi ha scritto via email Thomais Vlachogianni, chimica ambientale ed ecotossicologa che da tempo fa ricerca sul tema dei rifiuti marini presso l'Ufficio informazioni del Mediterraneo per l'ambiente, la cultura e lo sviluppo sostenibile, una federazione che comprende 136 organizzazioni non governative mediterranee che si occupano di ambiente e che non è coinvolta in questo progetto. “Non è ancora stato studiato in modo approfondito né ampiamente riportato”.

Healthy Seas, per esempio, è venuta a conoscenza della questione nell’estate del 2020. La fondazione olandese era a Cefalonia, un’isola bagnata dal mar Ionio, a circa 30 chilometri dalla Grecia continentale, a rimuovere reti fantasma da un sottomarino della seconda guerra mondiale. Durante una breve pausa di qualche giorno sulla vicina Ithaca, sono stati avvicinati da alcuni abitanti del posto che hanno detto loro, ricorda la direttrice di Healthy Seas, Veronika Mikos: “Se volete ripulire qualcosa di veramente grande, qui abbiamo l’allevamento di pesci”.

La rimozione di una rete durante le operazioni di ripristino dell'area contaminata di Ithaca dall'allevamento abbandonato (Cor Kuyvenhoven/Ghost Diving)

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