La newsletter di questo mese è dedicata a una creatura marina che in tempi antichi ha ispirato diversi miti: l’Octopus vulgaris, il polpo più diffuso nel mar Mediterraneo. Di questo mollusco dai nove cervelli e dalle qualità eccezionali, il nostro Davide Mancini offre un ritratto multisfaccettato che si basa su informazioni raccolte a margine dell’inchiesta sulla pesca illegale che sta portando avanti come Ocean Reporting Network fellow del Pulitzer Center, un’organizzazione con sede a Washington che supporta l’approfondimento giornalistico su tematiche spesso trascurate dai media tradizionali.

Il polpo è un animale sfuggevole per carattere. Sfugge anche alle statistiche ufficiali su quanto venga realmente catturato e commercializzato. È difficile determinare il vero volume delle catture di questa specie, anche perché non c’è un sistema di quote per pescarlo. Spesso è un tipo di cattura accidentale (bycatch) della pesca a strascico fatta sui fondali sabbiosi - anche per questo non viene tracciato come altre catture. È invece una delle specie predilette dalla pesca artigianale, stanato con nasse e trappole vicino alle coste rocciose dove solitamente si va a nascondere. In zone come la Sardegna, per esempio, il 70 per cento dei polpi sono catturati da pescatori artigianali, a livello familiare.

Inoltre, quando la sovrapesca di altre specie pelagiche ha portato a un declino delle popolazioni di pesci più commercializzati, il polpo ha tradizionalmente rappresentato una specie “rifugio” per i pescatori artigianali, ovvero una preda accessibile quando altri pesci scarseggiano. Negli ultimi anni, però, i suoi tentacoli sono diventati sempre più popolari nella cucina internazionale, così come la richiesta sul mercato. Dagli anni 50 a oggi, si stima che le catture di polpo a livello mondiale siano aumentate di otto volte.

In Europa, il 77 per cento del valore commerciale del polpo è generato da quattro paesi: Spagna, Italia, Portogallo e Grecia, dove è parte della tradizione culinaria. Ma questo non significa che venga pescato nelle loro acque. Anzi, è molto probabile che il polpo che troviamo al supermercato o che ordiniamo al ristorante nei paesi europei del Mediterraneo sia originario dell’area di cattura FAO 34: la costa atlantica dell’Africa occidentale, Mauritania, Marocco e Senegal, dove viene pescato in enormi quantità (vedi grafici sotto). 

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Nel Mediterraneo, il picco di catture di Octopus vulgaris fu raggiunto a metà degli anni 80, dopodiché è andato gradualmente a diminuire, almeno secondo i dati disponibili. La diminuzione è dovuta a fattori come la pesca eccessiva, le differenti condizioni ambientali del Mediterraneo e la mancanza di un regolamento che ne gestisca la popolazione. In Italia, per esempio, se ne pescano circa 3mila tonnellate ogni anno, 1600 nelle coste mediterranee della Spagna e 2mila in Grecia. Ma quello consumato è in realtà un volume molto maggiore. La differenza è compensata dalle importazioni, soprattutto dalla Spagna, che gioca un ruolo di ‘broker’ dell’Octopus vulgaris nel mercato globalizzato, ovvero compra da altri paesi non mediterranei per rivenderlo dentro l’Unione europea. In Italia, ad esempio, si importano 15mila tonnellate dalla Spagna, anche se solo una minima parte proviene effettivamente dalle acque atlantiche o mediterranee spagnole, come si vede nel grafico 2.

Grafico 1: il volume del polpo importato nei paesi mediterranei europei da paesi non europei (dati EUMOFA)
Grafico 2: il volume del polpo importato in Spagna, riesportato in altri paesi (dati EUMOFA)

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