A Murviel-lès-Montpellier si produce vino fin dai tempi degli antichi romani. Il terreno calcareo di queste colline nel sud della Francia ha dato a questa cittadina un posto di rilievo a livello nazionale - e non solo - per la sua produzione di vini. Ma negli ultimi anni, l'alternarsi di periodi secchi e precipitazioni intense sta minacciando sempre più il gusto, la quantità e il contenuto alcolico dei rinomati vini della Linguadoca. Anche per questo motivo, nel 2012 l'Istituto nazionale di ricerca sull'agricoltura, l'alimentazione e l'ambiente (Inrae) ha incluso quest'area in uno studio approfondito sugli impatti del cambiamento climatico sul settore vitivinicolo francese.

La newsletter di questo mese, scritta dalla giornalista Soledad Dominguez, racconta i risultati di questa ricerca e le soluzioni che i viticoltori locali hanno iniziato a sperimentare per adattarsi a un pianeta più caldo.

Régis Sudré mi mostra i suoi vigneti, 14 ettari di terreno, nella piccola cittadina di Murviel-lès-Montpellier, una zona collinare della Linguadoca, tra le maggiori regioni di produzione vitivinicola francesi. Mentre cammina, mi racconta alcuni dei suoi peggiori raccolti degli ultimi anni.

Nel 2018, piogge intense hanno favorito la diffusione della peronospora. Poi nel giugno 2019, un’ondata di caldo torrido fino a 46 gradi, accompagnata da aria calda proveniente dal Sahara, ha seccato l'uva, facendo perdere al viticoltore quasi il 30 per cento del raccolto.

“Ciò che ci scombussola oggigiorno sono questi episodi estremi”, afferma Sudré. “Possono essere gelate od ondate di calore. [In entrambi i casi,] alterano l'intera produzione del vino”.

Secondo gli esperti, le viti resistono meglio al caldo che alle precipitazioni eccessive, poiché le precipitazioni troppo intense tendono a favorire la diffusione di agenti patogeni che influiscono negativamente sulla qualità del vino. Ma in questa regione, che a causa del riscaldamento globale indotto dall'uomo ha già raggiunto un aumento medio di 1,4 gradi rispetto al periodo pre-industriale, è l'alternanza di annate estremamente secche, come il 2017, e molto piovose, come il 2018, a sconvolgere i produttori di vino.

I vigneti della tenuta di Régis Sudré (Berta Vicente Salas).

Eppure, mentre il riscaldamento globale si avvicina inesorabilmente a 1,5 gradi, gli scienziati sostengono che alcune regioni vitivinicole tradizionali, come il Mediterraneo francese, possono ancora adattarsi a un certo livello di riscaldamento, adottando qualche strategia.

“La vite è una pianta mediterranea con una straordinaria capacità di adattarsi alla siccità”, dice Kees van Leeuwen, ricercatore presso la Scuola nazionale di scienze agrarie dell'Università di Bordeaux. “Può crescere perfettamente se si adattano i sistemi di coltivazione, i portainnesti e le varietà”.

A Murviel-lès-Montpellier e nel vicino villaggio di Saint-Georges d'Orques, dove si trovano complessivamente circa 130 ettari di vigneti e una cantina sociale, i piccoli viticoltori locali stanno sperimentando nuovi approcci per affrontare condizioni meteorologiche fortemente variabili al fine di proteggere il futuro delle loro colture. In gioco c'è la produzione di circa 4mila ettolitri all'anno, che nel 2024 potrebbe essere inferiore del 10 per cento, secondo Jean-Marc Touzard, che dirige le attività di ricerca dell'Inrae di Montpellier.

E se il calo di quest’anno si può probabilmente imputare alla peronospora e alle inusuali condizioni di umidità, in generale, a causare le basse rese è per lo più la scarsità d'acqua. Secondo un documento redatto in occasione del Climathon, un’iniziativa incentrata sulle soluzioni climatiche tenutasi a Murviel-lès-Montpellier prima della pandemia, le rese nella zona sono diminuite del 25-30 per cento dagli anni 90. A causa di queste condizioni sempre più difficili, i viticoltori hanno iniziato a sperimentare la coltivazione di nuovi vitigni resistenti alla siccità.

“La maggior parte dei viticoltori sceglie di innovare”, afferma Touzard, che ha coordinato per l’Inrae un progetto di ricerca decennale volto a identificare i modi in cui l'industria vitivinicola possa adattarsi ai cambiamenti climatici. E aggiunge che ciò è particolarmente vero quando si tratta di modificare le viti e i portainnesti a favore di varietà a maturazione tardiva e resistenti alla siccità.

Così sulle colline mediterranee francesi, accanto a vitigni tradizionali come Syrah, Grenache noir, Grenache blanc, Mourvèdre, Cinsault, ne sono stati introdotti di nuovi per adattarsi a un clima sempre più secco, come il Carignan e il Nielluccio, un vitigno resistente alla siccità molto diffuso in Corsica. Ma questo avviene non senza difficoltà. “Bisogna considerare che quando si pianta un nuovo ceppo di vite, questo impiega tre anni prima di diventare produttivo”, dice Joël Antherieu, che gestisce l'azienda vitivinicola di famiglia a poco meno di un chilometro da quella di Sudré. “E se in quei tre anni [la vite] subisce due eventi meteorologici estremi, la sua crescita diventa più complicata”.

A sinistra, Joël Antherieu mentre aggiusta le foglie delle sue viti; a destra, durante una degustazione (Berta Vicente Salas).

In aggiunta gli organismi che tutelano la viticoltura e la produzione del vino sono un po' lenti nel mettersi al passo con i continui cambiamenti che il settore sta affrontando. “Ci sono regole imposte dai cosiddetti cahiers de charge che i viticoltori devono rispettare”, spiega Antherieu riferendosi alle specificità di ogni denominazione di origine protetta (Aop, dal francese), stabilite dall'Istituto nazionale per le denominazioni d'origine (Inao, nell'acronimo francese). Tali indicazioni richiedono almeno due varietà di uva, una primaria e una secondaria, tra quelle consentite in un elenco tenuto dall'Inao, aggiunge Antherieu. Ci sono requisiti inoltre sulla quantità di vino che può essere prodotta per ettaro, la potatura e la distanza tra le viti.

Altre regole riguardano ad esempio l'altezza del fogliame, aspetto che secondo i ricercatori sta diventando fondamentale per proteggere le viti dal sole e dal calore in eccesso e, di conseguenza, per ottenere un’uva di buona qualità.

“Oltre ad affrontare i cambiamenti climatici, noi viticoltori dobbiamo cercare modi per lavorare all'interno delle restrizioni imposte da queste agenzie”, sottolinea Antherieu.

Tuttavia Antherieu non sta proprio con le mani in mano ad aspettare che questi enti si adattino al clima che cambia. Il viticoltore ha piantato Vermentino e Macabeu, quest'ultima un'uva bianca di origine catalana, e registrato due dei suoi vini sotto un'altra certificazione, l’Igp (indicazione geografica protetta), un po' più flessibile della Aop.

Uno scorcio dei vigneti di Régis Sudré (Berta Vicente Salas).

Antherieu segue anche altre raccomandazioni individuate dagli scienziati nel corso dello studio decennale coordinato dall'Inrae che ha coinvolto sette regioni vitivinicole francesi. Tra queste vi è il miglioramento dei terreni con materiale organico per proteggere il suolo dal sole e dal vento, nonché per prevenire l'erosione e trattenere l'acqua e le sostanze nutritive, funzioni che sono fondamentali di fronte al cambiamento climatico.

Sudré, per esempio, cerca di trattare il suolo come un “organismo vivente”, evitando di disturbarlo, coprendolo e garantendogli un apporto annuale di materia organica. “Sono sei anni che non lavoro il terreno”, dice. “E osservo cambiamenti significativi, tra cui la presenza di funghi, batteri e vari artropodi, che contribuiscono alla trasformazione della materia organica in humus, arricchendo gradualmente il terreno”.

Lo stesso vale per Frédéric Pinguet, viticoltore biodinamico, la cui cantina si trova a meno di un chilometro da quella di Antherieu e a uno e mezzo da quella di Sudré. “[I suggerimenti dell'Inrae] sono come la mia bibbia”, afferma. Per evitare una riduzione della resa, il produttore di vino ricorre a una particolare tecnica di potatura. “Quando poto la vite, lascio qualche tralcio per mantenere tre o quattro grappoli per vite, bilanciando così la quantità di foglie e grappoli”.

Ma a spingere il settore vitivinicolo francese a cambiare ed evolversi non sono solo i cambiamenti climatici. Negli ultimi anni, la Francia ha registrato un calo nel consumo di vino, soprattutto per quanto riguarda i vini rossi. Secondo un'indagine dell'Agenzia nazionale francese per la salute pubblica, il consumo settimanale di vino a livello nazionale è infatti passato dal 62,6 al 39 per cento.

“Il vino del 2050 nella regione mediterranea francese sarà molto diverso da quello di oggi. C'è una chiara tendenza alla produzione di vini con meno alcol”, osserva Touzard. “I consumatori, soprattutto i giovani, preferiscono bevande più fresche e leggere. Le normative in materia stanno cambiando per consentire la produzione di vini con una minore gradazione alcolica”.

Allo stesso tempo, il riscaldamento globale non sta venendo incontro a queste tendenze. L'eccessiva esposizione dei grappoli alla luce del sole aumenta l'accumulo di zuccheri, con un conseguente innalzamento dei livelli alcolici, e quanto più alto è il contenuto alcolico (in media più di 14 gradi), tanto più basse sono le variazioni di acidità e di aromi. “Non si tratta più solo di far maturare la frutta”, afferma Sudré, “ma di controllare il suo livello di maturazione”.

Per farlo, i viticoltori ricorrono sempre più spesso a una raccolta anticipata dell’uva, che ora spesso inizia tra il 18 e il 30 agosto anziché a metà settembre. 

“Il grande paradosso è che vigneti come quelli di Murviel-lès-Montpellier producono meno vino ma di eccellente qualità”, afferma il ricercatore della Scuola nazionale di scienze agrarie dell'Università di Bordeaux Kees van Leeuwen, secondo il quale il futuro della regione consisterà in produzioni di vino più piccole vendute a prezzi più alti. 

Durante l'estate, Montpellier e i comuni vicini organizzano festival ed eventi all'aperto in cui si degustano i vini. I produttori cercano di innovare e adattarsi ai gusti dei clienti più giovani che cercano vini più leggeri. L'estate scorsa, Sudré e sua moglie Caroline hanno offerto degustazioni in un festival a 13 chilometri da Murviel-lès-Montpellier. I rosati e i bianchi erano i più richiesti.

“Le abitudini di consumo stanno cambiando,” dice Sudré. “Questa trasformazione può essere un'opportunità per ripensare la viticoltura e la vinificazione, [e] costruire un futuro più resiliente e sostenibile per i piccoli produttori di vino”.

SOLEDAD DOMINGUEZ
Giornalista con oltre 17 anni di esperienza nel campo dei diritti umani in America Latina, appassionata di ricerca, scrittura e reportage su tematiche che spaziano dall’equità razziale, alle donne di colore e le comunità indigene, di cui scrive per vari media internazionali. Uno dei suoi ultimi progetti riguarda l’impatto dei cambiamenti climatici sulle donne che vivono nelle zone rurali del Brasile nord-orientale ed è stato possibile grazie al sostegno della International Women's Media Foundation.

Questo lavoro fa parte di un progetto di Revista Late sviluppato con il sostegno di Journalismfund Europe e grazie a una sovvenzione di Investigative Journalism for Europe (IJ4EU).

Grazie per aver letto fin qui, è tutto per questo mese. Ci vediamo a novembre.

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