Con il 2022 che volge al termine e 10 mesi di Lapilli alle spalle, in questo numero extra ti raccontiamo qualcosa in più di noi: su cosa abbiamo lavorato; cosa ci ha colpito; aspettative e progetti per l’anno a venire. Ma soprattutto ti chiediamo di aiutarci a tracciare un bilancio di questi primi mesi insieme. Per farlo abbiamo realizzato un breve sondaggio con il quale potrai farci sapere cosa pensi di questa newsletter. Intanto siamo contenti di chiudere l’anno con un numero di Lapilli che vede il contributo di tutta la squadra di Magma. Ci vediamo nel 2023!
Tra le molte immagini che hanno raccontato la tragedia della frana che ha travolto Casamicciola, a Ischia, mi hanno molto colpito le fotografie scattate da Gianni Cipriano, collaboratore del New York Times, pubblicate sul quotidiano americano a corredo di un articolo del 3 dicembre firmato da Gaia Pianigiani.
Rispetto ad altre immagini circolate nelle ore immediatamente successive alla tragedia, che avevano un taglio più diretto e fattuale, le foto di Cipriano restituiscono una dimensione delicata e umana, raccontando la complessità degli eventi drammatici che hanno coinvolto Ischia e toccato l’intero paese.
Per questi Lapilli di fine anno, ne ho parlato direttamente con Gianni Cipriano.
Cipriano e Pianigiani sono arrivati a Ischia il 28 novembre, qualche giorno dopo la frana, avvenuta nella notte tra venerdì 25 e sabato 26.
Lungo la strada principale, ancora ricoperta da moltissimo fango, alcuni giovani erano intenti a spalare fango davanti alle attività commerciali. Nell’arco di due giorni Cipriano avrebbe visto questa scena ripetersi molte volte. “Tutti si erano riversati a Casamicciola per dare una mano. L'ho trovata una cosa molto bella”, racconta il fotografo. “Ho notato una serie di ragazzi impegnati in un lavoro sporco. Se pensavano alla tragedia, non lo davano a notare.”
Poco distanti, alcuni volontari della Protezione civile si erano radunati in un momento di pausa dai soccorsi. Un gruppetto sostava nell’androne di uno stabilimento termale, dove fino a qualche giorno prima venivano offerti trattamenti a base di fanghi. Stavolta il fango era tutto attorno, arrivato in piena dal monte Epomeo. Sui muri esterni del palazzo, gli schizzi superavano in altezza la statura dei volontari. “Questo momento della pausa pranzo mi era sembrato molto bello”, racconta sempre Cipriano. “Anche nella tragedia, ci sono momenti di solidarietà”.
Incuriosito dall’insegna di un’agenzia di viaggi, Cipriano era entrato nel locale in parte ripulito. All’interno una spessa striscia marrone correva lungo le pareti. Non era intonaco: il fango era arrivato ad almeno un metro d’altezza e ricopriva una carta geografica del mondo appesa al muro.
“Questa foto racconta la tragedia di Ischia. L'ho trovata però anche simbolica non soltanto della tragedia di Ischia in sé, ma anche di tutta la questione climatica in generale”, dice Cipriano. “Quando riesco a trovare un oggetto, un paesaggio, oppure qualcosa che senza essere ‘letterali’ e senza far vedere delle persone... riesce a raccontare qualcosa...”, Cipriano coglie questi momenti rappresentativi di un messaggio più ampio, di cui, in questo caso, la tragedia di Ischia è realtà e rappresentazione.
Il mio lavoro è raccontare l’attualità italiana per media tedeschi, svizzeri e austriaci. Purtroppo quest’anno ho dovuto parlare e scrivere tanto di eventi climatici estremi. Per esempio, nella mia ultima diretta tv di quest’anno ho descritto i tragici eventi che hanno colpito Ischia a distanza di soli pochi mesi da quelli che hanno investito le Marche. Sono temi che interessano molto a chi parla tedesco perché tanti hanno un legame emotivo con l’Italia.
Il tema che mi ha toccato particolarmente nel 2022 è stato l'estrema siccità. Soprattutto nel nord Italia: vedere in modo così evidente come la pianura padana dipenda dalla neve in cima alle Alpi mi ha fatto molta impressione. Ma è stata anche l’occasione per raccontare come il cambiamento climatico riguardi tutti noi, perché ha interessato luoghi che conoscono – e amano – in tanti. Come il lago di Garda, per fare un esempio, la cui acqua in un certo momento sembrava dovesse servire per irrigare i campi piuttosto che rinfrescare i turisti.
I fenomeni legati al cambiamento climatico mi hanno toccato personalmente anche durante le mie vacanze in Portogallo: lì ho visto per la prima volta un incendio boschivo da vicino. Spero che rimanga anche l’ultima.
L'estate del 2022 è stata la più calda mai registrata in Europa da quando disponiamo di dati registrati. Come abbiamo raccontato in varie edizioni di Lapilli, da giugno ad agosto (compreso) il continente ha assistito a temperature ben superiori alla media, a cui si è sommata una grave carenza di precipitazioni che ha causato una pesante siccità e favorito l’innesco di enormi incendi. È proprio di questi due temi che mi sono occupato maggiormente durante l’anno. In primavera, insieme a Davide Mancini, sono volato a Cuglieri, un piccolo borgo rurale in provincia di Oristano, che l'anno precedente era stato colpito da un devastante rogo che aveva incenerito migliaia di ettari di terreno. Abbiamo trascorso alcuni giorni in questo angolo di Sardegna conteso tra mare e montagna, parlando con abitanti, imprenditori e politici locali per capire l’entità della devastazione e cosa si può fare per mitigarne gli effetti, una tendenza che secondo gli esperti è destinata a peggiorare sensibilmente nei prossimi decenni. Il reportage, uscito su tvsvizzera, lo si può leggere qui. Qualche mese più tardi, sono andato a visitare un produttore di riso nelle campagne del pavese. Insieme al Piemonte, la Lombardia produce la metà del riso prodotto in Europa. Questo comparto agricolo è uno dei tanti messi in ginocchio dalla grave sofferenza idrica che ha colpito la pianura padana, un’area dove si concentra il 30 per cento della produzione agricola nazionale. L’articolo, scritto per la sezione europea di Politico, è leggibile qui.
In virtù di una deformazione o meglio formazione professionale, visti i miei trascorsi da urbanista, i contenuti che mi hanno appassionato di più quest'anno sono quelli che hanno messo al centro le città e come queste si stiano adattando o meno al cambiamento climatico. A luglio, durante una delle tante ondate di calore di questa estate, Il Sole 24 Ore pubblica una mappa di Milano, diffusa dall’Agenzia spaziale europea (Esa), in cui si mette in evidenza come, laddove manchino vegetazione e corsi d’acqua, la temperatura del suolo aumenti. In città, dove la maggior parte del territorio è costruito, questo fenomeno si chiama isola di calore urbana. Poche settimane dopo, l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) pubblica un rapporto in cui dichiara come il consumo di suolo in Italia, nonostante una costante decrescita demografica, abbia raggiunto un nuovo record decennale: 19 ettari al giorno.
Cambiamento climatico, isole di calore urbane e consumo di suolo sono tutti fenomeni interconnessi. Consumare suolo significa impermeabilizzare il terreno, coprirlo di asfalto, di cemento o altro materiale, e ridurne la capacità di tamponare deflussi e calore. Consumare suolo significa anche generare emissioni: si pensi alla produzione di materiale da costruzione e ai macchinari come autocarri e pale meccaniche. Emissioni che vanno ad aggiungersi a quelle già in eccesso nell’atmosfera e che fanno sì che la temperatura del pianeta aumenti. Per sopravvivere in città sempre più calde e impermeabilizzate, si ricorre a sistemi di raffreddamento necessari ma non sostenibili, come le arie condizionate, innestando un circolo vizioso senza fine.
Fermo restando che il contenimento delle emissioni resta la priorità, le città possono diventare laboratori per testare soluzioni per mitigare gli effetti del cambiamento climatico: piantando alberi, proteggendo suolo non consumato, riscoprendo corsi d’acqua tombati, utilizzando sistemi di raffreddamento passivi negli edifici, adattando vecchi palazzi anziché costruirne di nuovi, impiegando criteri di sostenibilità più stringenti. Dello studio delle città ne ho fatto una malattia, anche perché probabilisticamente parlando è più facile che proprio in città troveremo le soluzioni per contenere le emissioni e mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
Quest’ultimo anno ho avuto la fortuna di poter lavorare su temi molto mediterranei, seguendo un filo conduttore per me imprescindibile per poter leggere la realtà che ci circonda: l’armonia. Insieme a giornalisti e media di diversi paesi, ho condotto un’inchiesta sugli incendi boschivi in Italia, Spagna, Grecia e Cipro, evidenziando come il nuovo clima che ci troviamo a fronteggiare quando si parla di incendi sia legato a doppio filo allo spopolamento delle aree rurali. Lo spopolamento ha infatti eroso il tacito patto che vigeva tra esseri umani e foreste. Questa armonia perduta di molte aree interne del Mediterraneo è qualcosa di importante da recuperare non solo per una funzione ambientale, ma anche per l’importanza paesaggistica e culturale dell’intera regione.
Le mie ricerche si sono spostate poi dalle foreste ai fondali marini dello stretto di Sicilia e alle condizioni spesso dimenticate della vita sottomarina. Il Mediterraneo infatti è il mare più sovrapescato al mondo, con più del 70 per cento degli stock ittici oltre i livelli di sostenibilità, e ha un grande bisogno di regole comuni condivise per evitare che il mercato incontrollato diventi l’unica logica con la quale si estraggono risorse condivise, come gli stock ittici, fino al loro esaurimento.
Mi auguro dunque per l’anno in arrivo di poter raccontare, anche su Lapilli, altre ricerche e inchieste che aiutino a far riflettere su come recuperare l’armonia che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra esseri umani e natura.
Le feste natalizie hanno segnato l’arrivo sugli scaffali di alcuni supermercati di una linea italiana di prodotti a base di specie aliene, un progetto innovativo che ho avuto modo di conoscere meglio negli ultimi mesi. Per buona parte del 2022, grazie a una piccola sovvenzione del Pulitzer Center on Crisis Reporting, ho fatto tappa in Tunisia, Sicilia, Puglia, Emilia Romagna, Veneto per incontrare pescatori, ricercatori, chef, imprenditori nel settore della lavorazione dei prodotti della pesca, enti internazionali che supervisionano il settore, alle prese con due specie aliene di granchi blu — una nativa della costa atlantica delle Americhe; l’altra dell’oceano Indiano occidentale — che si sono insediate nel Mediterraneo grazie a un connubio tra globalizzazione dei trasporti e riscaldamento delle acque. A differenza di altre specie non indigene, questi granchi hanno un forte impatto sulle aree costiere perché vivono in acque basse, si riproducono a tassi molto elevati, impattano le attività di pesca, l'acquacoltura e gli ecosistemi locali. Sono infatti molto voraci, ma anche a loro volta buoni da mangiare. Per questi motivi, su richiesta di alcuni membri — Algeria, Tunisia e Unione europea —, la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Gfcm) della Fao ha istituito un apposito programma per studiarne la distribuzione, le popolazioni e il loro impatto sugli ecosistemi locali. L’obiettivo è quello di identificare delle linee guida per regolamentare la pesca di questi crostacei da suggerire ai decisori pubblici dei vari paesi mediterranei. Dopo l’esperienza della rapana venosa nel mar Nero, sarebbe uno dei primi casi di regolamentazione di una pesca target nei confronti di una specie non indigena nel Mediterraneo. Ad agosto ho pubblicato un primo articolo per Mongabay; ne ho un altro in cantiere incentrato sulla costa italiana dell’Adriatico. Tra qualche mese potrai trovarli anche sul sito di Magma in una sezione dedicata ai nuovi abitanti del nostro mare.
Quando si va in spiaggia, il principale rifiuto plastico che si può trovare è un mozzicone di sigaretta. È il più buttato al mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Lo si trova ovunque, sui marciapiedi, in mare e nei parchi. Questi residui sono circa 4.500 miliardi ogni anno in tutto il mondo. Di temi legati all’industria del tabacco mi sono occupata dal 2019 al 2022, periodo in cui mi sono specializzata in inchieste su Big tobacco (qui puoi leggere l’ultima uscita).
Le conseguenze di questo prodotto sull’ambiente marino sono devastanti.
“Si sa poco sulla composizione dei filtri”, ha detto a Magma Danielle Van Kalmthout, nel direttivo del Network europeo per la prevenzione nei confronti di fumo e tabacco (Ensp) e coordinatrice della Alleanza belga per una società senza fumo. Ma sappiamo che “i filtri non inquinano solamente per le componenti tossiche che contengono, ma anche perché sono fatti di plastica non biodegradabile, ovvero cellulosa acetata, che si riduce in microplastica. Un doppio danno per l’ambiente”.
Quando sono in mare queste particelle sembrano dei piccoli pesci e durano anche fino a dieci anni.
Il problema dei filtri è anche legato alla salute. I filtri moderni sono stati introdotti negli Anni 50 quando ci si è cominciati a rendersi conto che le sigarette provocano il cancro. Le aziende produttrici di tabacchi hanno dato il via a una campagna per presentare i filtri come una soluzione al problema dei rischi causati dal fumo. Robert N. Proctor, professore di Storia della scienza a Stanford, li ha definiti in un’intervista al New York Times nel 2012 come “la frode più letale nella storia dell'umanità” perché non servono a nulla. Eppure, continuano a essere usati.
Oggi alcune persone stanno passando a dispositivi elettronici come le sigarette a vapore o al tabacco riscaldato. “Questi prodotti non solo continueranno a mantenere le persone dipendenti dalla nicotina, ma creeranno anche tutta una nuova crisi ecologica, dalle componenti elettroniche alla plastica”, ha detto Andrew Rowell, dell’università di Bath e di Fermare le organizzazioni e i prodotti del tabacco (Stop). “Stiamo solo sostituendo un’attività inquinante con un’altra”.
Questo è tutto per il 2022. Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo il 9 gennaio del 2023.
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