In questa Lapilli+ abbiamo guardato al cambiamento climatico nel Mediterraneo attraverso le lenti di cinque fotografi e il filo conduttore dei quattro elementi: aria, acqua, terra, fuoco.

Per l’aria, sono gli scatti di Gaia Squarci a parlarci di cambiamento. Nel suo lavoro, Squarci esplora un elemento che è allo stesso tempo effimero e cruciale nella crisi climatica: le temperature, soprattutto estive, ma anche di questo autunno, al di sopra delle medie stagionali, che scatenano una “corsa all'aria condizionata”. 

Di acqua ci parlano due fotografi che ne colgono aspetti diversi: l’alluvione in Emilia-Romagna del maggio 2023 attraverso gli scatti di Alessandro Penso che si è trovato nel mezzo di un’esondazione; e lo sciogliersi e il ritirarsi della neve, catturati lo scorso gennaio da Andrea Mantovani sul versante svizzero delle Alpi. 

Il lavoro del fotografo M'hammed Kilito mette in risalto la terra, in particolare la trasformazione delle oasi nel nord del Marocco, una risorsa a rischio di estinzione a causa dell'aumento delle temperature e le sue conseguenze. 

Infine, il fuoco, ritratto nelle immagini di Brais Lorenzo, che inquadra le lunghe ombre degli alberi in un paesaggio spettrale, illustrando una perdita irreversibile.

 

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Umidità del 34 per cento, 35 gradi Celsius. La ricercatrice Patrizia De Rossi controlla i sensori di radiazione solare sul tetto del Centro ricerche Casaccia, alla periferia di Roma, Italia (Gaia Squarci).

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un drammatico aumento dell’utilizzo di dispositivi di raffreddamento - comunemente noti come aria condizionata - sia a livello residenziale che commerciale. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, se non verranno intraprese azioni per affrontare il problema dell’efficienza energetica, la domanda di energia per il raffreddamento degli ambienti triplicherà entro il 2050.

In quanto metodo di raffreddamento più diffuso al mondo, l’aria condizionata ha consentito anche l’industrializzazione di aree geografiche tropicali, spesso a scapito di pratiche tradizionali di raffreddamento antiche e più sostenibili. In uno studio durato cinque anni, l'Università Ca' Foscari di Venezia ha indagato le conseguenze della quasi ubiquità dell'aria condizionata negli spazi abitati di tutto il pianeta.

La fotografa Gaia Squarci ha documentato questa tendenza in India, Indonesia, Brasile e Italia dal 2019 al 2022, nel lavoro “The Cooling Solution”. Squarci si è spinta oltre le classiche fotografie stock, per mostrare l'impatto del cambiamento climatico sulla vita delle persone. Pertanto ha ritenuto fondamentale catturare gli effetti dell'aumento delle temperature su diverse classi socioeconomiche: coloro che hanno accesso all'aria condizionata e chi invece ne rimane escluso, soffrendo maggiormente gli effetti di temperature sempre più elevate.

La foto che abbiamo scelto ritrae una ricercatrice che controlla i sensori di radiazione solare utilizzati dal Centro ricerche Casaccia dell’Enea sui tetti di un edificio residenziale sperimentale vicino Roma dove vengono misurati in tempo reale anche temperature, circolazione dell'aria e vento. Gran parte della superficie esterna dell’edificio è ricoperta di vegetazione, che consente di abbassare la temperatura interna di tre gradi centigradi in estate.

"Nel momento in cui si è avvicinata al sensore, ho capito che c'era una foto lì", dice Squarci della ricercatrice. "Mi piaceva la sua posizione, il modo in cui era vestita, in contrasto con l'ambiente circostante... Non si capiva bene dove fosse questo edificio, non c'erano abbastanza elementi di contestualizzazione, in modo che l'immaginazione potesse viaggiare”.

Lavorando a questo progetto, Squarci si è interrogata sull'architettura moderna che a volte predilige il profitto rispetto all'utilizzo di sistemi tradizionali di raffreddamento. Recentemente si è assistito a un'inversione di tendenza tra gli architetti che hanno implementato soluzioni di raffreddamento rivalutando tecniche antiche alla luce della tecnologia contemporanea. Squarci ha anche considerato la propria esperienza rispetto all’aria condizionata, che produce secondo lei una separazione troppo netta tra l’uomo e l’ambiente esterno. Ne riconosce, tuttavia, i benefici: soprattutto per quelle aree geografiche che soffrono di intense ondate di calore e per le popolazioni vulnerabili, come anziani, malati e bambini.

"Il messaggio del progetto non è che non andrebbe usata", dice Squarci. “Ma oggi viene utilizzata in maniera indiscriminata, e impostata su temperature eccessivamente basse che non solo sono inutili, ma anche malsane”.

Strade allagate a Faenza, in Emilia-Romagna, Italia, 18 maggio 2023 (Alessandro Penso).

Tra il 2 e il 16 maggio 2023, tre eventi di pioggia molto intensi, a cui hanno fatto seguito gravi inondazioni, hanno messo in ginocchio Emilia-Romagna e Marche.

Il primo evento si è verificato dopo due anni di siccità, mentre i due episodi successivi si sono riversati su un terreno già troppo saturo per assorbire l’acqua, provocando lo straripamento di fiumi, centinaia di frane e allagando fattorie, magazzini e case. Almeno 15 persone sono morte e oltre 36mila residenti sono stati sfollati.

Il fotografo Alessandro Penso è partito subito dopo le inondazioni. La sfida più grande è stata raggiungere le zone colpite dall’alluvione, perché i sistemi di navigazione non segnalavano le strade divenute inaccessibili a causa delle frane. Dopo vari tentativi, Penso è arrivato a Russi, una piccola località tra Faenza e Ravenna duramente colpita dal nubifragio. Lì si è trovato in mezzo al fiume Lamone, mentre esondava.

"È stato impressionante vedere la potenza dell'acqua che scorreva a perdita d'occhio", dice Penso. “La zona era completamente evacuata. Essere lì, in quel silenzio, mi ha fatto sentire piccolo”. Un silenzio interrotto solo dal fruscio del fiume e dai gemiti degli animali negli allevamenti vicini. 

Penso si è poi spostato verso Faenza e Lugo per documentare la situazione nei centri abitati. Il suo approccio è simile a quello che usa quando affronta il tema delle migrazioni: “Sai di avere di fronte persone che possono aver perso la casa, i propri ricordi e nei casi più gravi, anche famigliari. Serve grande rispetto ed empatia”.

Nei Lapilli pubblicati a giugno, abbiamo parlato dei fattori che hanno contribuito a questa difficile situazione in Emilia-Romagna: la gestione del territorio, il consumo di suolo e la conformazione morfologica della regione - una regione ad alto rischio idrogeologico racchiusa tra una piana alluvionale e Appennini argillosi. Condizioni che suggeriscono che questi eventi potrebbero ripetersi.

“È stato doloroso constatare come luoghi che vivono in maniera simbiotica con la natura, essendo per lo più zone agricole, non abbiano costruito un modello che tenga presente la loro mutabilità”, dice Penso. “Parliamo di una zona frutto di bonifiche, con la percentuale più alta di territorio potenzialmente allagabile. Probabilmente non sarà un caso isolato”. Il suo lavoro ha anche accompagnato un articolo pubblicato su Internazionale che esplora gli stessi temi.

Secondo uno studio coordinato dall’iniziativa scientifica World weather attribution, i cambiamenti climatici avrebbero avuto un ruolo limitato nel determinare le precipitazioni estreme, considerate invece un evento non comune con probabilità di verificarsi ogni 200 anni (Il Post).

Durante il suo lavoro di documentazione, Penso è rimasto sorpreso anche dalla dimostrazione di coraggio e altruismo delle generazioni più giovani, che hanno assistito nei soccorsi, spalando e dandosi da fare. Una generazione che si sta “caricando ancora una volta sulle spalle gli errori del passato, rappresentando l’unica speranza per il futuro”.

Ciuffi d'erba spuntano dalla neve sulle piste di Sattel, in Svizzera, a causa delle alte temperature (Andrea Mantovani per The New York Times).

L’anno passato ci ha portato anche a interrogarci sul futuro dell’acqua allo stato solido, ad alta quota, poiché, a causa di temperature invernali sopra la media, è caduta poca neve o si è sciolta velocemente.

La fotografa Andrea Mantovani ha documentato questa trasformazione del paesaggio alpino con fotografie che accompagnano l'articolo del New York Times “Dwindling Snow Leaves Swiss Alpine Villages Staring at an Identity Crisis”.

Siamo poco lontani dal bacino Mediterraneo, ma il fenomeno interessa vaste catene montuose. Come aveva riportato Il Post, a causa delle temperature miti e della diminuzione delle precipitazioni, nel 2023 la quantità di neve sulle Alpi e sugli Appennini è stata scarsa, costringendo molte stazioni sciistiche a chiudere gli impianti subito dopo l'apertura. In alcuni casi, i cannoni sparaneve hanno tamponato la situazione, creando strisce bianche in mezzo a macchie verdastre di vegetazione.

Nell'immagine scattata da Mantovani, ciuffi d'erba spuntano tra la neve che ricopre a chiazze le piste da sci di Sattel, a circa 30 chilometri da Zurigo, in Svizzera. Un’immagine emblematica di un futuro che forse già intravediamo o possiamo immaginare: la neve si ritira lasciando spuntare l’erba.

“L’obiettivo era documentare la diminuzione del manto nevoso nei villaggi alpini ed esplorare le ripercussioni di questo fenomeno sull’identità svizzera”, in parte modellata da questi paesaggi invernali, spiega Mantovani. Lo sci è radicato nella cultura di queste comunità e la diminuzione della neve solleva la questione di come questa identità verrà trasmessa alle generazioni future. 

Le fotografie di Mantovani evocano un sentimento di nostalgia, una malinconia nata dal rimpianto per un'epoca passata. "Scattare queste foto mi ha dato la sensazione di un mondo in transizione, di catturare una realtà che appartiene al passato e che non esisterà più... testimoniando il dolore che accompagna la perdita".

Le sue immagini mostrano un modo di vivere destinato a scomparire e lasciano il posto a una riflessione sulla fragilità delle tradizioni.

L’aspetto cruciale del cambiamento climatico, per Mantovani, emerge nella difficoltà di coglierne appieno le conseguenze, a causa della necessità di immaginare un futuro radicalmente diverso.

“Le fotografie evidenziano la resistenza umana al cambiamento, esacerbata dalla riluttanza ad abbandonare abitudini profondamente radicate. La sfida di intraprendere azioni significative emerge come una questione fondamentale, sottolineando la necessità di una consapevolezza collettiva della realtà del cambiamento climatico e delle sue implicazioni”, afferma.

Un gruppo di palme nell'oasi di Tanseest, Marocco, 2021 (M'hammed Kilito).

Il lavoro di M'hammed Kilito ritrae gli ecosistemi delle oasi del Marocco in via di estinzione, messi in pericolo dalle mutevoli circostanze ambientali causate dai cambiamenti climatici: desertificazione, ripetute siccità e incendi.

A causa delle alte temperature e della mancanza d'acqua, la vegetazione dell'oasi è diventata più suscettibile alla minaccia del fuoco. Durante un soggiorno presso l’oasi di Tighmert nel 2020, Kilito ha assistito alla distruzione di centinaia di palme da datteri, frutteti, orti, bestiame e abitazioni andati in fiamme.

Allarmato per la mancanza di copertura mediatica, Kilito e un suo collega giornalista hanno deciso di raccontare l'evento. Le loro fotografie e reportage sono stati pubblicati sulla rivista marocchina Telquel, dando poi vita a quel che è diventato “Before it’s gone”.

“Le fotografie possono fungere da potente strumento visivo per comunicare l’urgenza e la gravità della situazione”, afferma Kilito, “[ispirando] le persone ad agire per preservare questi preziosi ecosistemi”.

Ci sono più di mille oasi sparse in tutto il Marocco che forniscono cibo, acqua e riparo sia alle persone che alla fauna selvatica. Quando le oasi si prosciugano, si innesca un effetto a catena: perdita di biodiversità, mezzi di sussistenza per la popolazione locale che scarseggiano, agricoltori che perdono il lavoro e, infine, spopolamento rurale. Il declino di queste oasi ha un impatto anche sul patrimonio culturale delle persone e di queste regioni.

Ma secondo Kilito qualcosa si può fare: le comunità locali possono gestire le proprie oasi adattandosi ai cambiamenti ambientali, con sistemi di gestione dell’acqua sostenibili - come la raccolta dell’acqua piovana, l’irrigazione a goccia, la ricarica delle falde acquifere - che possono contrastare il declino delle oasi.

"Attraverso interventi mirati che supportano la gestione sostenibile delle oasi e il ripristino dell'ecosistema, possiamo lavorare per preservare il patrimonio naturale e culturale unico delle oasi del Marocco per le generazioni future", dice Kilito.

L’area carbonizzata nella regione di Valdeorras, Galizia, nella Spagna nordoccidentale (Brais Lorenzo).

Le ultime due estati saranno ricordate per le ondate di calore e le condizioni di siccità, che hanno visto aumentare il numero e l’intensità degli incendi in tutta Europa.

Secondo il Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi (European forest fire information system), circa 500mila ettari sono stati complessivamente bruciati nei paesi dell’Unione europea nei mesi di giugno, luglio e agosto del 2022 (in prospettiva, negli stessi mesi tra il 2006 e il 2021, bruciavano in media 200mila ettari). Questi dati statistici evidenziano l'eccezionalità di queste condizioni, caratterizzate da temperature “iper estreme” e spesso paragonate a quelle dell'estate del 2003, considerata tra le più calde a livello europeo.

I cambiamenti climatici alimentano indirettamente gli incendi: l'innalzamento delle temperature favorisce la siccità e la vegetazione secca diventa più suscettibile all'innesco e alla propagazione delle fiamme. Il riscaldamento globale aumenta il rischio di tempeste di fulmini, che possono alimentare le probabilità di incendi.

Il fotoreporter Brais Lorenzo, che vive in Galizia, nel nord-ovest della Spagna, una delle aree più colpite dagli incendi, nel 2022 ha documentato il loro impatto nella serie “Burned Land”. Lorenzo ha utilizzato un drone per fotografare quel che era rimasto delle foreste bruciate. "È un'immagine che avevo già in testa", dice. “Documentare gli incendi boschivi è un progetto di vita”, aggiunge, vista l'importanza di registrare eventi di tale impatto.

Queste condizioni estreme ci mettono davanti all’evidenza di come i cambiamenti climatici incidano sempre più sulla nostra vita quotidiana. Se prima la comunità scientifica dava l’allarme su possibili scenari futuri, ora ne intravediamo le conseguenze attraverso i fenomeni estremi di cui siamo testimoni diretti: mega incendi, ondate di calore, siccità. Gli incendi boschivi sono difficili da spegnere, spiega Lorenzo, perché divorano tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Il rischio di danni al paesaggio, all’economia e alla vita delle persone è elevato.

L'intenzione che Lorenzo ha cercato di trasmettere con questa immagine è un senso di desolazione che rimane impresso nel paesaggio. È un paesaggio pallido, lunare, che riflette un senso di impotenza di fronte a un evento così violento e alle ripercussioni che ancora subiamo.

"Ogni volta che scatto immagini come questa mi sento impotente", commenta Lorenzo. “Ciò che brucia è la nostra vita, il nostro patrimonio naturale”.

LUCIA DE STEFANI
Editor per una rivista americana per studenti. Come freelance, scrive recensioni su progetti fotografici e di illustrazione. Vive e lavora a New York, ma appena può torna a respirare il Mediterraneo.

Questo è tutto per questo mese. Grazie per aver letto fin qui. Ci vediamo a novembre.

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