Nella newsletter di questo mese trovi una lunga sezione dedicata all’attualità. Purtroppo, come ormai spesso accade d’estate, anche ad agosto non sono mancati incendi, ondate di calore, altri eventi estremi e fenomeni a essi connessi. Ma per farti riprendere un attimo fiato, abbiamo pensato di includere anche qualcosa di più costruttivo: quanto la città francese di Lione si stia preparando ad affrontare le ondate di calore estive e alcuni progetti che stanno cercando di salvare la Pinna nobilis dall’estinzione. Parliamo poi di iniziative per la compensazione delle emissioni di aziende inquinanti che potrebbero essere meno sostenibili di quello che fanno credere e dell’impatto dell’estrazione del fosfato, usato anche per i fertilizzanti europei, in Tunisia. Infine, torniamo su argomenti a noi cari, come la gestione delle risorse idriche in un Mediterraneo siccitoso sovraffollato di turisti e i granchi blu. Ti lasciamo poi con uno sguardo alle piante che occupano lo spazio dove fino a non troppo tempo fa c’erano i ghiacciai e un’iniziativa di ripristino delle praterie di Posidonia in Tunisia. Come sempre, buona lettura.

Grazie inoltre a chi ha compilato il sondaggio dello scorso mese e ai numerosi giornalisti iscritti a questa newsletter che hanno espresso interesse nella prima edizione della scuola magmatica di giornalismo ambientale. Stiamo valutando tutti gli input che ci sono arrivati, presto seguiranno aggiornamenti.

Caldo e fiamme in Grecia. Insieme a vento e siccità, le temperature elevate di questa estate hanno contribuito ad alimentare gli incendi che tra l’11 e il 12 agosto sono divampati a nord di Atene, dove hanno bruciato almeno 100 chilometri quadrati di foresta (Cnn). Già a luglio il paese aveva attraversato una lunga ondata di calore, forse la più lunga dal 1980, secondo Meteo.gr, una società che si occupa delle previsioni meteorologiche in Grecia. Temperature tra i 6 e gli 8 gradi sopra i livelli medi stagionali hanno poi caratterizzato anche agosto, soprattutto nella zona settentrionale, occidentale, ionica del paese e nel Peloponneso. Secondo un’analisi dell’organizzazione nonprofit americana Climate Central, il cambiamento climatico indotto dall’uomo avrebbe contribuito a rendere queste anomalie almeno cinque volte più probabili. “Se non smettiamo di bruciare combustibili fossili, estati devastanti con temperature estreme nel Mediterraneo diventeranno la norma, non solo in Grecia ma in tutta la regione,” ha dichiarato Andrew Pershing, ricercatore che dirige le attività scientifiche di Climate Central. Sempre secondo Meteo.gr, negli ultimi otto anni l’Attica avrebbe visto bruciare il 37 per cento delle proprie foreste.

Quest'immagine satellitare acquisita il 12 agosto mostra l'estensione dell'incendio in corso non lontano da Atene (Unione europea, Copernicus Sentinel-2).

Pesci morti a Volos. Restando in Grecia, non solo le fiamme o le ondate di calore hanno destabilizzato il paese. Negli ultimi giorni di agosto oltre cento tonnellate di pesci morti hanno ricoperto le acque del porto di Volos, città costiera a nord di Atene e a sud di Salonicco. Da quanto emerso si tratta di pesci di acqua dolce che, dopo le tempeste che lo scorso autunno hanno allagato la Tessaglia, avevano occupato le abbondanti acque formatesi nella zona umida del lago Karla. Con le alte temperature e le scarse precipitazioni di quest’estate, questi specchi d’acqua sono però andati a ridursi e i pesci che li abitavano si sono riversati verso il mare. La procura della corte suprema greca ha annunciato un’indagine per chiarire le responsabilità dell’accaduto, che ha avuto importanti ripercussioni anche sul turismo (Reuters; Bbc; The New York Times).

I rischi di un mare sempre più caldo. Il Mediterraneo d’estate è una delle mete preferite da chi va in barca. I cambiamenti climatici però potrebbero fare aumentare i rischi per chi viaggia per mare. Sul caso Bayesian, il super yacht affondato nel nord della Sicilia uccidendo sette persone, segnaliamo un articolo della Cnn che contestualizza l’evento in un discorso più ampio su eventi climatici estremi e Mediterraneo. Non si conoscono ancora le cause esatte dell’affondamento, ma si sa che l’imbarcazione è stata investita da un forte temporale, simile a quello che pochi giorni prima aveva già provocato danni alle Baleari. Le acque del Mediterraneo si stanno scaldando sempre di più a causa del cambiamento climatico indotto dalle attività umane e questo provoca l’aumento di energia in circolazione che a sua volta genera venti sempre più forti, trombe d’aria e tempeste.

Mucillagini in Adriatico. In quasi tutto l’alto Adriatico, quest'estate probabilmente sarà ricordata come l’estate delle mucillagini. Già a fine giugno uno strato viscido e biancastro, tendente al marroncino, copriva vaste aree di mare in prossimità delle coste slovene e triestine (The Slovenian Times). Il fenomeno, un tempo frequente e intenso, grazie anche alle normative che hanno ridotto la presenza dei fosfati nei detersivi, negli ultimi 20 anni non aveva più raggiunto queste dimensioni. Un’immagine scattata lo scorso 7 agosto dal satellite Sentinel-2 del programma di osservazione della terra dell’Unione europea, Copernicus, ne mostra l’estensione lungo la riviera romagnola. A contribuire a questo “ritorno” potrebbero essere state le temperature elevate delle acque e le intense precipitazioni registrate nei mesi a ridosso dell’estate. Le mucillagini infatti sono sostanze gelatinose - e a volte schiumose - prodotte da microalghe come la Gonyaulax fragilis che proliferano con il caldo in presenza di grosse quantità di nutrienti - fosforo e azoto. Quando il fenomeno è di vasta entità, a subirne le conseguenze sono soprattutto gli organismi marini che vivono vicino al fondale ai quali potrebbe venire a mancare l’ossigeno (Wired; Geopop).

La mucillagine, in bianco, e la fioritura algale, in verde, al largo della città di Rimini lo scorso 7 agosto (Unione europea, Copernicus Sentinel-2).

Nel Conero a fine agosto, per esempio, i ricercatori dell'Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim) di Ancona hanno documentato un’estesa moria di cozze selvatiche, o moscioli (Mytilus galloprovincialis), come vengono chiamate localmente. Oltre alla presenza della mucillagine, che potrebbe avere contribuito in parte all’evento, i ricercatori hanno sottolineato il ruolo delle prolungate ondate di calore marine, che hanno visto la temperatura superficiale del mare superare i 30 gradi centigradi in varie parti del Mediterraneo (CentroPagina).

Come il 15 agosto scorso a El-Arish, in Egitto, dove la temperatura marina avrebbe toccato i 31,96 gradi centigradi. Se le rilevazioni effettuate venissero confermate, a metà agosto la temperatura media giornaliera delle acque superficiali del Mediterraneo avrebbe raggiunto un nuovo record, superando i 28,71 gradi misurati il 24 luglio 2023 (Le Monde).

Notti tropicali e salute. Nell’arco di quest’estate le ondate di calore non sono certo mancate. Ma quella che ha colpito l’Italia, e non solo, nella prima metà di agosto è stata particolarmente anomala per durata e intensità. “In alcune regioni il numero consecutivo di notti tropicali e massime oltre i 34 gradi centigradi ha battuto addirittura il 2003 e il 2022”, ha scritto il meteorologo Giulio Betti su X. Con notti tropicali si intendono quelle notti in cui le temperature non scendono sotto i 20 gradi. “Ci stiamo abituando”, ha detto Magali Reghezza-Zitt, geografa e docente presso l'École normale supérieure di Parigi, alla testata francese Mediapart, parlando delle ondate di calore che hanno interessato anche la Francia ad agosto. “Dimentichiamo che avere 40 gradi era quasi impossibile negli anni 2000”. Anche Reghezza-Zitt sottolinea un aumento degli episodi di notti tropicali. “Possono essere pericolosi per i pazienti con problemi di salute perché il loro organismo non riesce a riposare durante la notte”, ha detto. “L'altra preoccupazione è il caldo umido - aggiunge - per il quale abbiamo iniziato a ricevere segnali di allarme lungo la costa mediterranea. Si tratta di condizioni climatiche che impediscono alla pelle di traspirare e che riscaldano il corpo” (Mediapart). Ma oltre che sul fisico, le ondate di calore hanno ripercussioni anche sulla salute mentale, come sottolinea Valigia Blu nella parte finale di questo round-up dedicato alla crisi climatica, dove vengono elencati una serie di studi sull’argomento. In concomitanza con questi eventi di solito aumentano i ricoveri di persone affette da disturbi mentali. Inoltre il caldo può influire sull'umore di una persona, provocando stress e irritabilità, anche dovuti a difficoltà legate al sonno.

Le sfide dell’adattamento: il caso di Lione. Questo tema riguarda tutti quelli che abitano nelle aree urbane. Quando ci sono ondate di calore, in città si raggiungono temperature ancora più alte per via del famoso heat island effect, ovvero l’isola di calore che si crea per via dell’asfalto e del cemento e la mancanza di alberi. In questo articolo interattivo pubblicato su Le Monde, il quotidiano francese si sofferma sul caso di Lione, città in cui i giorni con ondate di calore sono destinati ad aumentare da 10 all'anno a 36 nel 2070, secondo alcune proiezioni. L’articolo è diviso per sezioni ognuna delle quali racconta un quartiere diverso della città e quanto si stia attrezzando per affrontare un futuro sempre più caldo. Si compone così un quadro di insieme sfaccettato non privo di diseguaglianze (Le Monde).

Pinna nobilis, operazioni di salvataggio. La Pinna nobilis del Mediterraneo, anche detta nacchera, è un mollusco filtratore particolarmente grande (raggiunge anche il metro e venti di altezza) che è però a rischio di estinzione per via della pesca e del degrado del loro habitat. Già gli antichi greci e romani le pescavano per utilizzare i filamenti che le tengono ancorate al suolo che sono come fili di seta. Nel 2016 dei biologi marini spagnoli hanno notato una moria improvvisa di Pinna nobilis lungo le coste andaluse. Si è scoperto che la moria era dovuta a un patogeno che si sospetta sia legato all'arrivo di specie invasive e di temperature dell’acqua sempre più alte. Recentemente sono nate diverse iniziative per provare a salvarle. In Croazia stanno provando a farle crescere in ambienti controllati, e in Spagna stanno cercando di trovare in mare aperto quelle più resistenti a patogeni e temperature elevate per cercare di riprodurle (Bbc).

Compensazioni dubbiose. Un articolo di Marta Frigerio con le foto di Natália Alana ci porta in Maremma per raccontarci di un progetto nato per compensare le emissioni di aziende inquinanti che, secondo alcuni esperti citati nell’articolo, potrebbe minacciare la biodiversità locale. Siamo nella Diaccia Botrona, una zona umida protetta non lontano da Castiglione della Pescaia, dove sono partiti i lavori per far sorgere la foresta di bambù più grande d’Europa. Il progetto mira a piantare 103 ettari di Phyllostachys edulis, una specie non autoctona che si teme possa alterare il delicato equilibrio di questa riserva naturale. La piantagione, che per proseguire con la piantumazione deve attendere la Valutazione di incidenza ambientale della provincia di Grosseto, è gestita da un gruppo milanese che opera anche nel mercato volontario dei crediti di carbonio. Secondo la logica del progetto, i bambù vengono piantati per assorbire le emissioni climalteranti di aziende che potranno così dirsi “climate neutral” e “net zero”. Oltre al timore che il bambù possa arrivare a invadere la palude della Diaccia Botrona, l’articolo solleva altre criticità sul progetto e in generale sul sistema di compensazione delle emissioni basato sui crediti descritto come “una scorciatoia facile ed economica verso una neutralità climatica solo di facciata” (Radar Magazine).

La cannuccia di palude (Phragmites australis), una specie nativa che potrebbe essere minacciata dall’avanzata della piantagione di Phyllostachys edulis (Natália Alana).

La nostra agricoltura, fertilizzata a spese del deserto tunisino. Un reportage dall’interno sabbioso della Tunisia racconta l’impatto sociale e ambientale delle miniere di fosfato nella valle di Gafsa. I giornalisti Arianna Poletti e Sofian Philip Naceur, insieme agli scatti eloquenti di Daniela Sala, ci portano nel cuore di una delle industrie principali del paese nordafricano, dove un minerale critico, il fosfato, viene estratto per essere esportato verso il ‘nord globale’ e destinato alla produzione di fertilizzanti per la produzione industriale di frutta e verdura in Europa. Questo settore contribuisce a circa il 3-4 per cento del prodotto interno lordo tunisino, ma dopo decenni di sfruttamento minerario e inquinamento, dure condizioni lavorative, sommate all’instabilità politica del paese, hanno reso quest’industria, che se ben gestita potrebbe generare ricchezza, a essere più un problema che un vantaggio (Foreign Policy).

Acqua e turismo. La Spagna si trova spesso in condizioni di siccità, all’interno ma anche lungo la costa dove d’estate si concentrano turisti che usano molta acqua sottraendola alle vaste coltivazioni di frutta e verdura. Per risolvere il problema, il paese iberico ha scelto anni fa di puntare sugli impianti di desalinizzazione realizzandone circa un centinaio e diventando uno dei paesi in Europa con più impianti per trasformare l’acqua del mare in acqua potabile o per usi agricoli. Alcuni ritengono che gli impianti di desalinizzazione siano il futuro per quei paesi e regioni dove l’acqua scarseggia, però sono molto impattanti, costosi da gestire e consumano moltissima energia (New York Times). In Italia ce ne sono una quarantina, di piccole dimensioni soprattutto nelle isole, ma vista le continue condizioni di siccità si parla sempre più spesso di costruirne di nuovi e più grandi (Fanpage). 

Sempre sul tema consumo di acqua, siccità e sovraffollamento turistico segnaliamo un interessante video prodotto da Arte e ripreso da Internazionale, che sintetizza il conflitto che si crea quando milioni di turisti si riversano su destinazioni come la Sicilia, le isole greche o la costa spagnola nei mesi estivi proprio quando la siccità si fa più acuta (tema approfondito anche in questo articolo del Financial Times). In Spagna, in particolare, le proteste contro il turismo di massa si fanno sempre più sentire e alcuni propongono di iniziare a limitare il numero di voli e di crociere per certe destinazioni.

Il lato gourmet dei granchi blu. Due bei reportage tornano a parlare di granchi blu, specie esotica ormai insediata lungo le nostre coste. Uno uscito sul Washington Post lo fa da una prospettiva più culinaria, attraverso gli occhi di una giornalista statunitense che il granchio blu ben lo conosce. Il blue crab è infatti considerato una leccornia in alcune parti degli Stati Uniti, dove tra l’altro non se la passa troppo bene. Il resoconto, accompagnato dalle immagini di Luigi Avantaggiato, si concentra soprattutto su come questa specie invasiva per il Mediterraneo ben si presti a essere integrata nella cucina italiana. 

Roselmino Benvenuti mostra un granchio blu con le uova. Una femmina produce fino a 8 milioni di uova (Luigi Avantaggiato per il Washington Post).

L’altro articolo, arricchito sempre da eloquenti elementi visivi, ha un taglio più scientifico e spazia anche oltre il delta del Po. Il testo di Francesco Martinelli e le foto di Elisabetta Zavoli ci raccontano per esempio della situazione in Grecia, dove da circa due anni va in scena un festival dedicato al granchio blu per sensibilizzare la popolazione al consumo di specie esotiche, che con il riscaldamento delle acque stanno diventando sempre più comuni nei nostri mari. Nel paese ellenico il granchio blu non si vede molto sui banchi del pesce, ma alcune aziende si sono attrezzate per esportarne la polpa all’estero (National Geographic Italia). 

E sulle possibili strategie da mettere in pratica per rispondere all’espansione delle specie marine invasive nel contesto di un clima che cambia, segnaliamo una recente pubblicazione che l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (dall’inglese Fao) ha affidato a un gruppo di ricercatori internazionali. Nel capitolo uno, in particolare, sono analizzati i pro e contro di nove approcci alla gestione delle specie invasive acquatiche, che vanno dall’incentivare attività di pesca commerciali al non fare niente.

Gran Paradiso, le piante dove c’erano i ghiacciai. Una ricerca pubblicata sul Botanical Journal of the Linnean Society mostra l’impatto significativo del cambiamento climatico sugli ecosistemi alpini, evidenziando la velocità con cui le piante sono andate a occupare le aree del Parco nazionale del Gran Paradiso lasciate libere dal ritiro dei ghiacciai. Lo studio ha rilevato un incremento significativo nel numero e nella copertura delle specie vegetali, superando di gran lunga le previsioni. Questi cambiamenti potrebbero destabilizzare gli ecosistemi e minacciare le specie alpine, ma anche influire positivamente sulla stabilità dei terreni. Pertanto lo studio sottolinea come un monitoraggio continuo sia importante per guidare strategie di conservazione efficaci (Greenreport).

Piantare Posidonia nel Mediterraneo. Ci sono svariati progetti in giro per il Mediterraneo per proteggere ed espandere la presenza della Posidonia oceanica, una pianta fondamentale per gli ecosistemi marini, considerata il polmone del mare, vista la sua capacità di produrre ossigeno e catturare anidride carbonica. In questo video, Reuters racconta un progetto al largo di Monastir, in Tunisia, dove la Posidonia sta soffrendo a causa delle alte temperature del mare, l’inquinamento e la pesca a strascico. Qui gli scienziati la stanno ripiantando con lo scopo di recuperare parte delle praterie marine andate perdute.

MAGMA
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