Questo mese abbiamo preparato un numero speciale di Lapilli in collaborazione con Egab, un progetto che dall’Egitto punta ad amplificare e fare emergere il lavoro di giornalisti che vivono in Africa e Medio Oriente. In questo numero ci concentriamo dunque sulla parte meridionale e orientale del bacino del Mediterraneo. Lo faremo soffermandoci sull'ondata di calore che ha colpito diverse zone del sud del Mediterraneo, dal Maghreb fino al Levante. Approfondiremo inoltre come l'aumento delle temperature stia esacerbando la crisi umanitaria in Siria e il motivo per cui l'Egitto sta facendo la guerra agli alberi. In Libano, impareremo a conoscere quali api sono più resistenti alle ondate di calore, prima di spostarci in Marocco per esplorare una banca dei semi che ben sopportano la siccità. Come sempre speriamo che questa newsletter ti piaccia! Nel caso, inoltra questa email e invita altri a iscriversi. Nel prossimo numero cercheremo di ritornare sulle piogge torrenziali che hanno colpito il nord Italia, Francia e Svizzera e su altri eventi o contenuti che a questo giro non abbiamo incluso.

Un sud del Mediterraneo rovente. Negli ultimi due mesi, quasi tutti i paesi del bacino meridionale del Mediterraneo hanno registrato un notevole aumento delle temperature che ha inciso sulle condizioni di vita di almeno 290 milioni di persone. In Egitto, Algeria e Siria i termometri hanno raggiunto o superato i 40 gradi Celsius, mentre in Libia, Gaza e Libano le previsioni davano temperature tra i 30 e i 38 gradi. In Egitto, il caldo ha provocato la morte di 40 persone nella città meridionale di Assuan, dove le temperature hanno raggiunto quasi i 50°C. Anche decine di rifugiati sudanesi in fuga dalla guerra sono morti per le temperature elevate mentre erano in viaggio verso l'Egitto. In Algeria, le autorità civili hanno cercato di controllare i massicci incendi scoppiati in quattro province sudorientali, che hanno provocato ingenti danni a proprietà e distrutto i raccolti. Inoltre, nel mese appena trascorso, il governatore di Jendouba, in Tunisia, ha vietato di fare camping nella foresta dopo che un incendio è divampato nella zona di Ghardimaou, al confine con l’Algeria. La Tunisia si sta preparando al peggio per il 2024, dopo aver affrontato un anno particolarmente impegnativo sul fronte degli incendi nel 2023. La minaccia di roghi diffusi mette in pericolo i raccolti del paese, in un momento in cui le importazioni di grano stanno incidendo particolarmente sul bilancio nazionale. In Marocco, dove le foreste ricoprono il 12 per cento della superficie del paese, le autorità hanno stanziato un budget di 14,2 milioni di euro per l'acquisto di nuovi veicoli antincendio, il potenziamento delle pattuglie di sorveglianza terrestri e aeree e la manutenzione delle torri di monitoraggio forestale. Un recente studio di World Weather Attribution (Wwa) ha concluso che i cambiamenti climatici causati dall'uomo hanno reso più probabili le ondate di calore di tre giorni - come quella registrata ad aprile - in Medio Oriente e sottolineato le gravi conseguenze che queste comportano per le persone nelle aree colpite da conflitti, come Gaza, Siria, Libano e Giordania. Per una maggiore comprensione degli effetti dell'aumento delle temperature nel Mediterraneo orientale devastato dalla guerra, consigliamo (nuovamente) lo studio di Wwa: Il cambiamento climatico ha reso più frequenti ed estreme le ondate di calore letali che hanno colpito milioni di persone fortemente vulnerabili in tutta l'Asia.

Un altro dato interessante è rappresentato dalle temperature medie previste dall’11 al 13 giugno in numerosi paesi del sud del Mediterraneo. Secondo il Climate Shift Index (Csi), un indice di cambiamento climatico messo a punto da Climate Central, un’organizzazione nonprofit statunitense che si occupa di fare ricerca e divulgazione sul cambiamento climatico, le anomalie termiche previste per quei giorni in Medio Oriente e Nord Africa raggiungevano il livello 5, ovvero erano rese almeno cinque volte più probabili dal cambiamento climatico indotto dall'uomo (la mappa globale dell'indice di cambiamento climatico).

Le aree del sud del Mediterraneo alle prese con l'aumento delle temperature tra il 16 e il 20 giugno 2024, secondo i dati del Climate Shift Index.

Un cupo Eid. Abbiamo già detto sopra che la parte meridionale del Mediterraneo sta affrontando temperature record. Le popolazioni di Libano, Iraq ed Egitto fanno particolarmente fatica. Il Libano ormai da decenni è afflitto da interruzioni di corrente, una situazione che molti libanesi attribuiscono alla corruzione della classe dirigente del paese. A causa di queste interruzioni la maggioranza dei cittadini è costretta a dipendere da generatori di elettricità privati, un onere aggiuntivo in una nazione economicamente in crisi. In Iraq, dove le temperature estive possono superare i 50 gradi Celsius, l'ondata di calore ha già fatto toccare i 40 gradi. Nonostante le abbondanti risorse petrolifere, anche l'Iraq soffre di diffuse interruzioni di corrente, che gli attivisti imputano alla corruzione e ad anni di conflitto. In Egitto, al Cairo, le temperature hanno raggiunto i 45°C, quasi 10°C sopra la media dello scorso giugno. Il caldo e la festività dell'Eid hanno fatto sì che le strade, solitamente affollate, fossero insolitamente tranquille. A differenza di Libano e Iraq, la maggior parte degli egiziani si affida all'elettricità fornita dallo Stato. Tuttavia, a causa del crollo delle entrate in valuta estera provenienti dal Canale di Suez, aggravato dal conflitto di Gaza, e della ridotta produzione del giacimento di gas naturale di Zohr, il governo ha ripreso a interrompere le forniture elettriche per conservare il gas naturale per l'esportazione e garantire una valuta forte (The National).

Gli sfollati interni della Siria stanno soffrendo. Nel 2023, l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati ha fatto sapere che, a seguito del decennale conflitto in Siria, ci sono almeno sette milioni di sfollati interni, molti dei quali vivono in tende in campi sovraffollati. La situazione umanitaria si è ulteriormente aggravata dopo che c'è stata una riduzione negli aiuti a causa di minori finanziamenti. Per far fronte ai 40 gradi raggiunti in Siria a giugno, gli sfollati si sono dovuti coprire con lenzuola imbevute d'acqua così da trattenere l'umidità e rinfrescarsi. Altri riferiscono di aver spruzzato acqua sulle tende per alleviare il caldo torrido che ha reso la vita nei campi insopportabile durante le ore diurne (Al Jazeera).

Il sacrificio degli alberi. In Egitto, cittadini indignati accusano il governo di aver messo in atto un piano sistematico per l'abbattimento di massa di alberi rari e storici, in un momento in cui le temperature al Cairo si avvicinano ai 45 gradi. Gli attivisti sostengono che gli alberi, molti dei quali alti 30 metri o con più di 100 anni, siano stati abbattuti con il pretesto di creare corridoi di traffico, ponti e strade per alleviare la congestione o facilitare l'accesso alla nuova capitale amministrativa. Secondo la Visione 2030 dell'Egitto, il piano di sviluppo annunciato dal governo nel 2018, l'obiettivo avrebbe invece dovuto essere quello di aumentare gli spazi verdi urbani a un metro quadrato pro capite entro il 2020, per poi arrivare a tre metri quadrati entro il 2030. Tuttavia, al momento questi obiettivi sembrano decisamente lontani, con meno di 0,74 metri quadrati per persona al Cairo, significativamente al di sotto della raccomandazione minima dell'Organizzazione mondiale della sanità di nove metri quadrati (Middle East Monitor).

Gli alberi della Tunisia abbattuti per profitto. Gli incendi boschivi non sono l'unica minaccia per i boschi della Tunisia. Sebbene rappresentino un'ancora di salvezza per quasi un milione di persone, che si affidano agli alberi per trovare riparo, cibo e sostentamento, le foreste sono sempre più minacciate da attività umane non sostenibili. Secondo l'agenzia forestale del paese, nel 2020 nelle regioni settentrionali e nord-occidentali sono state abbattute circa 400 querce algerine a rischio estinzione per la produzione di carbone. Quattro anni dopo, il problema persiste, poiché gli abitanti delle foreste, spinti dalla poca consapevolezza e dall'esigenza di migliorare le proprie condizioni economiche, abbandonano sempre più spesso le pratiche sostenibili per ottenere ricompense economiche immediate. Le conseguenze di questa tendenza sono visibili nel declino della produzione annuale di sughero, passata dalle 9mila tonnellate degli anni 80 alle 4mila di oggi. L'Osservatorio nazionale dell'agricoltura avverte che la Tunisia potrebbe perdere 18mila ettari di foreste di sughero entro il 2050, una risorsa economica vitale che fornisce lavoro e reddito a migliaia di persone. L'abbattimento di 200 ettari di pineta ad Aïn Draham nel 2023 e l'abbattimento diffuso di alberi nel parco nazionale di Oued Zeen nel 2024, a circa 160 chilometri a ovest di Tunisi, avvalorano ulteriormente le accuse degli attivisti di corruzione nella gestione dei permessi per il taglio degli alberi. Gli esperti sostengono che lo sfruttamento incontrollato ha reso la Tunisia più vulnerabile a incendi forestali sempre più frequenti, come quelli devastanti avvenuti nel 2023 nel nord del paese (Sky News).

Raccolto anticipato per la rosa di Damasco. In Siria, l'aumento delle temperature ha anticipato la stagione del raccolto della rosa di Damasco, che tradizionalmente va dal 15 maggio al 5 giugno, spingendo i coltivatori a iniziare una settimana prima del previsto. La fioritura prematura di migliaia di rose ha messo a dura prova i coltivatori che fanno affidamento sui profitti derivanti dalla vendita dell'olio di rosa, che è meglio estrarre prima della fioritura. La situazione è stata aggravata dalle sanzioni economiche imposte alla Siria che limitano l'esportazione dei prodotti a base di rosa, e dunque lo sbocco sul mercato di questi prodotti. La rosa di Damasco, inserita nella lista del Patrimonio culturale immateriale dell'Unesco nel 2019, prospera in regioni come Al-Nairab ad Aleppo, Maren Assleb ad Hama, Al-Marah a Damasco, Al-Mahalba a Latakia e in altre zone aride della campagna siriana. In seguito alla distruzione degli impianti di irrigazione durante la guerra civile siriana, la coltivazione della rosa di Damasco è diventata fortemente dipendente dalle precipitazioni. Le precipitazioni del 2024 sono state in media di 125 millimetri, in calo rispetto ai circa 140 del 2023 e ai 400 degli anni precedenti (Ruya via Egab - in via di pubblicazione).

Gli effetti delle ondate di calore sulle api in giro per il mondo e in Libano. L'aumento delle temperature con il peggioramento dei cambiamenti climatici sta contribuendo al declino globale delle popolazioni di bombi. I ricercatori hanno scoperto che le ondate di calore sempre più frequenti impediscono ai bombi di termoregolare i loro alveari, mettendo ulteriormente in pericolo una specie già in declino (The Guardian). 

In Libano, gli entomologi hanno studiato diverse specie di api selvatiche e hanno scoperto che la loro capacità di resistere alle ondate di calore varia notevolmente. Secondo Mira Boustani, una delle ricercatrici del gruppo che ha condotto lo studio pubblicato in aprile su Apidologie, la resistenza al calore delle api selvatiche in Libano varia a seconda di diversi fattori, tra cui il sesso e la specie. Alcune specie potrebbero infatti essere intrinsecamente meno resistenti e più a rischio di estinzione in occasione di ondate di calore future. Il gruppo ha anche scoperto che, all'interno di una stessa specie, le femmine mostrano spesso una maggiore resistenza al calore rispetto ai maschi. Un'altra scoperta importante è che le popolazioni di bombi che vivono ad altitudini elevate in Libano sono risultate avere una minore resistenza al calore e quindi potrebbero andare incontro a maggiori rischi di stress termico. Questo potrebbe portare al declino della loro popolazione o addirittura all'estinzione. Le aree con altitudini elevate in Libano rappresentano un habitat unico ma molto fragile che, secondo lo studio, dovrebbe diventare prioritario in termini di sforzi legati alla conservazione.

In Marocco una banca dei semi guarda al futuro. A Sidi Ifni, sulla costa occidentale del Marocco, centinaia di agricoltori hanno aderito a una banca dei semi nata su iniziativa della Fondazione Dar Si Hmad per sostenere la comunità locale ormai da sei anni alle prese con la siccità. In Marocco, la temperatura media annuale è aumentata di 1,8°C negli ultimi cinque anni, rendendo ancora più cruciali le sfide poste dalla diminuzione delle risorse idriche sia per l'uso potabile che per l'irrigazione. Nel paese nordafricano, l'intensità della siccità ha raggiunto una gravità tale che un recente rapporto del Centro comune di ricerca dell'Ue ha classificato il paese come un'area di "forte preoccupazione". Avviata nel 2021, la banca conserva semi autoctoni e che ben sopportano la siccità, provenienti dal Marocco e dall'Europa, in un edificio che riprende alcune tecniche architettoniche tradizionali degli amazigh (le popolazioni berbere dell’area), utilizzando argilla essiccata al sole, per creare un ambiente stabile. Attraverso un'attenta conservazione dei semi e un programma di formazione che introduce i contadini locali all'agroecologia, l'iniziativa punta a rivitalizzare la terra e a migliorare i mezzi di sussistenza della popolazione locale (Reasons to be Cheerful via Egab).

L'edificio che ospita la banca dei semi (per gentile concessione della Fondazione Dar Si Hmad).

Olivicoltori alle prese con l'aumento delle temperature. In Tunisia, i coltivatori di olive sono alle prese con le conseguenze dell'aumento delle temperature e di una grave siccità che dura da cinque anni, caratterizzata da un andamento irregolare delle precipitazioni che ha avuto un impatto significativo sui raccolti. Nella sola regione di Sfax, i raccolti di olive sono crollati, lasciando gli agricoltori in condizioni disastrose. L'aumento del costo della manodopera e del gas ha fatto lievitare le spese, spingendo molti residenti ad abbandonare le aree rurali in cerca di lavoro nei centri urbani. L'industria dell'olio d'oliva è una pietra miliare dell'economia tunisina ma tutto il settore è in crisi. Su 348 frantoi, solo 70 sono operativi a causa della mancanza di olive. La siccità e le scarse precipitazioni hanno dimezzato la produzione e generato un olio di qualità inferiore, più secco e acido a causa del ridotto contenuto di acqua. Per far fronte a questa situazione, alcuni agricoltori si stanno rivolgendo a metodi non convenzionali per la coltivazione, come l'irrigazione degli oliveti con acque reflue trattate, una pratica che fornisce nutrienti essenziali al terreno e incrementa la produzione. Questo approccio aiuta a mitigare i costi elevati dell'irrigazione tradizionale e ad affrontare alcune problematiche ambientali relative allo smaltimento delle acque reflue. Inoltre, sono state adottate varietà di olivi greci e spagnoli, noti per le loro rese più elevate e una maggiore tolleranza alla siccità rispetto a quelle locali tunisine. Queste varietà straniere non solo producono olio di qualità, ma fanno olive che tendono meno a seccarsi (Deutsche Welle).

MUHAMMED KOTB
Redattore di Egab e giornalista freelance con oltre sei anni di esperienza alle spalle. Nato e cresciuto al Cairo, dove attualmente risiede, si occupa di ambiente, economia, politica e scienza. Sta inoltre conseguendo un master in biologia molecolare. I suoi articoli sono stati pubblicati su Egyptian Streets, The National, The Guardian e Al Jazeera.
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